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Archive for I Vini della Dame

La magia di Matteo Baronetto e di Dom Pérignon, in una sera d’incanto

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Ora do i numeri:

2, è il numero civico di Piazza Carignano a Torino dove c’è il Ristorante Del Cambio

5, è il numero delle cuvée Dom Pérignon degustate

14, è il numero delle portate preparate dallo Chef Baronetto e dei suoi collaboratori in cucina

20, è il numero delle persone attorno al tavolo della cena di Bibenda per il DP Wine Tasting Club

Infinite sono le volte in cui ho alzato il bicchiere, e ancora infiniti i miei pensieri di gioia assoluta nel vivere simili momenti.

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Il ristorante Del Cambio, a Torino,  è stato scelto come location dal Dom Pérignon Tasting Club di Bibenda  per la degustazione di 4, anche se poi alla fine sono diventati 5, imperdibili cuvée (tutte frutto di assemblaggio di Pinot Noir e Chardonnay anche se si mantiene il più grande riserbo sulle percentuali):

Vintage 2004

P2 Vintage 1998

Rosé Vintage 2003

Rosé Vintage 1998

Œnothèque 1996

Cambio4 Anfitrione della serata Franco Ricci, presidente della FIS di Roma, che, insieme a Adele Bandera, Managing Director della società di comunicazione che cura Dom Pérignon in Italia, e Matteo Baronetto, Chef di casa, ha accolto gli ospiti con un aperitivo di benvenuto: Dom Pérignon Vintage 2004, testimone di un’annata molto bella in Champagne, con uve sane e abbondanti.

In effetti la pienezza della stagione si ritrova anche nel sorso che oso addirittura definire “curvy”, prendendo a prestito un termine ormai sdoganato.Cambio12

Freschezza e suadenza, a passeggio mano nella mano. Ha una grandissima armonia questo vino e lo trovo molto più pronto e piacevole rispetto al vintage precedente che, di strada da fare, ne ha ancora tanta.

 

 

 

 

 

Dato che siamo i primi ad arrivare, Chef Matteo Baronetto, braccio destro di Cracco per tanti anni ci onora di un giro turistico in cucina, in cantina e al piano superiore dove è stato creato il Bar Cavour.

Già, la cantina…mi vorrei fermare lì per la serata, e anche per la notte, e magari farci anche la prima colazione!

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Tavoli con candelabri accesi, pupitre vestite per l’occasione, profumo di vino che inebria il naso.

Le 20.000 bottiglie, ripartite nei diversi spazi della cantina, sono placidamente adagiate sulla nuda pietra o su scaffali di legno e suddivise per tipologia.

 

 

 

 

Lo chef sommelier del Cambio non è un tipo qualunque. Si tratta di Fabio Gallo, presidente dell’AIS Piemonte, un sommelier stimato e conosciuto, che dei vini ha fatto la sua ragione di vita (o quasi).

 

 

 

IMG_6529 Il tour termina dopo la visita al primo piano dove è stato creato il Cocktail Bar, che offre anche qualcosa da mangiare, con carta differente dal ristorante, fino a mezzanotte.Sale con luci soffuse, ma non da uscita di sicurezza luminosa, e bancone bar bellissimo e perfettamente incastonato nella prima stanza.

 

 

La sala cavouriana, dove è stato preparato il tavolo per la nostra cena, è stata rifatta in modo minuzioso e preciso. Un lavoro magistrale. Anzi, un capolavoro.

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La sala attigua invece è nuova e arricchita dalle installazioni di Michelangelo Pistoletto, artista biellese che, attraverso delle serigrafie sugli specchi alle pareti, ha voluto riprodurre alcune figure che stanno guardando ciò che accade al centro della sala. “l’Evento”.

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Finito il nostro aperitivo è arrivata (finalmente) l’ora della cena.

Sono veramente impaziente di provare i piatti di Matteo e questi champagne meravigliosi.

Si inizia subito con Dom Pérignon Vintage 1998 P2, alias Plénitude 2, alias Deuxième Plenitude, un nuovo modo di René Geoffroy di approcciare la vita di Œnothèque.

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Rispiego brevemente il concetto a favore di chi non ha ancora letto nulla su questo champagne:

a partire da Luglio 2014 la serie Œnothèque, ossia il Dom Pérignon millesimato lasciato affinare sugli lieviti molto più tempo rispetto al Vintage che vede la luce dopo circa 10 anni (è appunto in commercio la 2004 uscita a Marzo dello scorso anno), ha cambiato nome.

La nuova etichetta, grigio antracite con scritte in oro, riporterà il millesimo del vintage e una fascetta al collo della bottiglia con l’indicazione P2, ossia Plenitude 2, un tempo di affinamento che va dai 15 ai 20 anni.

Sulla base dello stesso concetto uscirà anche Dom Pérignon P3, Plenitude 3, ossia un vintage che avrà un periodo di affinamento sugli lieviti fra i 30 e i 40 anni.

Si passa poi al Vintage Rosé 2003, all’Œnothèque 1996, e al Vintage Rosé 1998, in un succedersi e alternarsi di pietanze e vini estremamente pacato e perfetto curato dal maître Daniele Sacco.Cambio19 Cambio20

I piatti del menu sono fatti con materie prime classiche, mediterranee e regionali, ma elaborati in modo innovativo con mano sicura e competente.Cambio15

 

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Quello di cui io vorrei parlare, anzi scrivere, e che è la materia che mi compete maggiormente, è di due champagne in particolare: P2 1998 e Œnothèque 1996, le mie due frecce di Cupido della serata.

Dom Pérignon Vintage 1998 P2

Olfatto denso e pieno. Non è uno champagne leggero, e si sente.

Una nota mielata e balsamica fa capolino dal bordo del bicchiere per riversarsi attorno al mio naso e far subito capire che non lui non è un “toyboy”. Bisogna prenderlo sul serio.

Continuo ad annusare il bicchiere, mi incanta, mi inebria.

Voglia di sorso, e la soddisfo subito.

Eleganza fruttata, materia spessa, croccante.

Ananas, cedro, miele, pane tostato e a volte speziato.

Una bocca piena, avvolgente, calda, sicura, seppur freschissima.

Ecco, per riprendere, giocando, la similitudine precedente, questo champagne mi dà la sicurezza protettiva di un uomo maturo, che non chiede pazienza e che sa offrire quanto di meglio ha a chi gli sta vicino.

Di gran classe e complessità e di meravigliosa persistenza, questo champagne è il compagno ideale per tutti i piatti ricchi e succulenti.

Dom Pèrignon Œnothèque 1996

E’ la seconda volta che lo degusto. E questa seconda è ancor meglio della prima.

Secondo me questo vino è un capolavoro in bottiglia, una essenza, formato 0,75l, di eleganza, raffinatezza, freschezza, classe, persistenza, equilibrio.

Forse se stessi zitta renderei meglio l’idea, paradossalmente.

Partiamo dal presupposto che il millesimo ’96 sia stato uno di quegli anni in cui viene quasi raggiunta la perfezione: meteo senza troppe variazioni e precipitazioni, temperature giuste e nella media stagionale, settembre perfetto con notti molto fresche e giornate nella media, due elementi sintomatici di annate grandiose in Champagne.

Acidità a livelli pazzeschi, tanto che alcuni produttori dicono che nemmeno la malolattica abbia avuto un effetto calmante in quell’anno.

Ed in effetti la 1996 verrà ricordata come la grande annata del decennio 1990/2000.

Per tornare alla nostra bottiglia devo dire che riesce a stregare con la sua estrema freschezza, testimoniata dagli aromi di frutta gialla, ananas e nectarine, per arrivare alla leggera tostatura e all’ananas candita, alla crema pasticcera, alle spezie dolci.

Ed è la stessa girandola inarrestabile quando lo assaggio.

Forte, profondo, determinato al primo impatto, eppure tanto leggiadro dopo il sorso, e ancora complesso e tanto invitante al secondo assaggio. Per tornare poi giocondo e scherzoso nel terzo.

Ananas, frutta candita, spezie dolci, tostature: è magnifico riuscire ad intercettare tutte queste differenze e complessità.

E’ uno champagne che emana eleganza e classe, senza essere troppo snob.

Insomma, per tornare alle nostre rappresentazioni figurative, un giovane uomo che, con sicurezza e intraprendenza, sta andando incontro alla vita. Senza fretta ma facendo i passi giusti.

L’entusiasmo e l’energia di questo vino coinvolgono tutti i sensi riuscendo ad andare anche oltre, ad emozionare la nostra mente e a far vibrare il nostro cuore.

Ed è quello che da un grande champagne ci si aspetta ogni volta.

 

E Dom Pérignon non ci delude mai. Mai.

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Energia e biodinamica, nello champagne di Franck Pascal

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FRANCK PASCAL – BASLIEUX-SOUS-CHATILLON VdM
4h in biodynamique certificata dal 2004
Bottiglie prodotte: 26.000 – 34.000 (dipende dal tempo)

Vitigni:
70% PM
27% PN
3%   C

Franck Pascal, dal 1994, tornando da militare, ha fatto una scelta ponderata non volendo più utilizzare per la coltivazione delle vigne di famiglia, i prodotti chimici, allora largamente utilizzati come armi in guerra.

Ha cominciato quindi a preparare le vigne per la conversione alla biodinamica avvenuta nell’anno 2000 e certificata ufficialmente (Écocert e AB) nel 2004.

La sua propensione alla biodinamica è un principio di naturalità che applica anche nella vita quotidiana per sé e per la sua famiglia, assieme alla moglie Isabelle.

Franck sostiene che non impone alla natura quello che deve essere ma ne cerca l’equilibrio energetico con gli elementi che ha a disposizione, senza correzioni invasive.

I nomi delle cuvée e le etichette delle bottiglie sembrano voler rimarcare questo concetto.

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Le informazioni su vitigni, dosaggio e data di dégorgement sono tutte riportate nella retro-etichetta.

La sua ricerca è costante e ogni anno sperimenta nuovi confini, magari trovando lieviti sempre più adatti, oppure eliminando rame e zolfo nel trattamento delle vigne.

La sua risposta alla canicola del 2003 è stata la preparazione, attraverso un processo di dinamizzazione, di un’infusione di camomilla con la quale ha dissetato le vigne.

L’inerbimento nelle vigne è spontaneo, tanto che non avviene il diserbamento nemmeno della tourniére, il ritaglio di terra in cima ai filari di viti dove di solito si lascia lo spazio al trattore per girare.

Ci si può credere, oppure essere scettici, abbracciare questa filosofia oppure allontanarsene.

Io osservo, guardo e, soprattutto, lascio che a parlare siano gli champagnes, con le bellissima degustazione che abbiamo fatto.

QUINTESSENCE 2004 Extra Brut

60%PN – 25%PM – 15%C

Questo champagne è stato prodotto durante il cammino del percorso bio e quindi per metà è lavorato con agricoltura convenzionale e per metà con sistema bio.

Un po’ di fatica a farsi sentire, come fosse quasi timido. Poi finalmente si apre con una bella eleganza di frutti di bosco, e una nota di ossidazione appena accennata.

Rotea molto bene in bocca con aromi fruttati e sapidi ma sul finale vi sono dei sentori che non mi convincono appieno.

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QUINTESSENCE 2005 Extra Brut

Stessi vitigni del precedente, questa volta tutto in biodinamica.

Franck spiega che è una collaborazione fra uomo e natura con tutte le loro essenze presenti.

Si apre rapidamente e avvolge con freschezza e golosità di frutti rossi. Ampio e libero il sorso che scorre piacevole e spumoso in bocca.

Dosaggio perfetto per un vino che non ha bisogno di aggiungere zucchero a quello già esistente di suo.

Bella persistenza, grande freschezza, beva piacevolissima. Tutta un’altra cosa rispetto al precedente.

Essenziale e preciso.

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RELIANCE Brut Nature

75%PM – 12%PN – 13%C

BSA base 2008

Impatto immediato con una bella mineralità e gesso.

Il tiglio compare all’assaggio, insieme a pompelmo bianco, limone e passion fruit.

Una grande persistenza che lascia, bellissimo, un ricordo di anice stellato seducente e misterioso.

Vibrante e sincero, tocca le corde golose della mia curiosità.

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HARMONIE 2009 Extra Brut

50%PM – 50%PN BdN

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E’ piacevole al naso e in bocca, ancora un po’ troppo giovane, ma di sicuro impatto e di grande energia.

Una grande materia data dalla frutta con una acidità molto spiccata eppur equilibrata dalla bella morbidezza del vino e da una nota amara che avvolge il palato in finale.

Pacifico e suadente, parla sottovoce ed è un piacere ascoltarlo.

 

 

 

PACIFIANCE

Metodo solera iniziato con i millesimi 2006 e 2007

60%PN – 25%PM – 15%C

Frutti bianchi, quasi in confettura e bocca fresca, note minerali e affumicate.

Una grande, bella armonia che regala persistenza a non finire e una punta di anice stellato che sembra essere il “fil rouge” di tutte le cuvée di Franck Pascal.

Un vino che dona tranquillità, voglia di provarlo e riassaggiarlo, di stare in sua compagnia per tanto tempo senza mai stancarsi.

Disteso e rilassante, accarezza le ciglia del mio olfatto e rispetta, in silenzio, i miei tumulti.

SERENITÉ 2010

C e PM

Vino bioenergetico senza solfiti.

La forza potente, comunque domata in questo champagne, si esprime con aromi di pietra focaia, spezie, mentuccia, salvia.

 

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Il senso di tutto quanto sopra: c’è un rispetto fra uomo e natura con un confine molto labile e banale.

Alcuni uomini lo sanno rispettare ed interpretare. Altri lo guardano da lontano.

Scoprite voi da che parte sta Franck Pascal. E per dirlo dovete provare i suoi vini.

Franck Pascal
1 bis, rue Valentine-Régnier • 51700 Baslieux-sous-Châtillon
T. +33(0) 326 51 89 80 • contact@franckpascal.fr

NOBLESSE OBLIGE

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La mia prima volta con la Cuvée Blanche di Bruno Michel è stata lo scorso anno, ad un pranzo al Ristorante Piazza Duomo di Alba con una coppia di carissimi amici siciliani.
Ero loro ospite ma mi faceva piacere offrire un aperitivo con una bottiglia di champagne che non fosse così scontata.

Ho quindi chiamato Vincenzo (Donatiello ndr), per me uno dei migliori e più seri sommelier italiani (una persona che non ama perdersi troppo in chiacchiere e selfie, per essere precisi), chiedendo consiglio a lui.

Mi ha detto subito che fra le tante bollicine francesi presenti ve n’era una che aveva colpito particolarmente anche lui, con un buon rapporto qualità prezzo, ma la cosa più intrigante era che l’assemblaggio era costituito da 50% chardonnay e 50% pinot meunier.

Il produttore? Bruno Michel, un piccolino della Vallée de la Marne che faceva solo 70.000 bottiglie, ma le faceva molto bene.
D’accordo, dico, andata. Ci vediamo fra mezz’ora!

In effetti le aspettative non sono state deluse e credo di aver bevuto uno dei migliori champagne di RM dell’ultimo anno.
Ho pero’ voluto fare la riprova, non ci si può limitare solo alla prima volta.

Se una cosa piace la prima volta potrà essere magnifica perché è la novità, ma la seconda, la terza e financo la quarta dovranno esserlo ancora di più.

Ieri sera mi sono gustata un’altra bottiglia di Cuvée Blanche, a cena, con un amico sommelier, appassionato di champagne (i supporters di questo vino stanno dilagando a macchia d’olio..!).
Risultato: non solo riconfermo quanto mi era parso di capire la prima volta, vado oltre.

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Il colore è confortante e preciso: oro chiaro, senza sbavature.

Il “train de bulles” non lo considero più da un pezzo, troppe variabili per poter essere un elemento determinante nel giudizio qualitativo.

Pero’ in questo bicchiere c’è, e anche bello continuo e sottile.

Aspetto almeno 10 secondi prima di annusare, per non bruciare tutte le ciglia olfattive, e poi immergo quasi letteralmente il naso nel bicchiere.

La bonheur…!

La pesca bianca apre una boule di macedonia appena fatta nella quale si alternano anche mela gialla, e piccoli frutti rossi come lamponi e fragoline, il tutto unito da un cucchiaino di miele e spolverato con della cannella.

Il palato sorprende perché smentisce da un lato e conferma dall’altro.

La freschezza del vino risalta in modo particolare con uno spiccato sentore di ananas non maturo e coriandoli di agrumi, ma le eventuali punte di acidità vengono sapientemente calmierate da una trama rotonda e piena nella quale trovano un ruolo importante anche note di boisé e di vaniglia.

Un gioco delle parti sapientemente orchestrato e io mi abbandono al ritmo melodico di questa dolce musica.
Nonostante la complessità evidente la beva risulta molto piacevole, adeguata, “friendly” per usare un termine anglosassone che avvicina molto anche chi guarda con fare sospetto agli champagne atipici. BM

Ho apprezzato soprattutto l’eleganza e l’armonia scaturite dall’assemblaggio dei due vitigni, cosa che rimarca la bravura di chi, questa armonia, ha saputo costruirla e infonderla in un vino.

Il dosaggio viene mantenuto sugli 8/9 g/l (solo con MCR), che si abbassa notevolmente sulle altre cuvées della sua gamma.

Bruno Michel produce i suoi champagne nel piccolo comune di Pierry, a sud di Épernay.

Lo fa dal 1980 in una meravigliosa casa del 1800 una volta di proprietà di monaci che avevano sempre avuto la passione dello champagne e che, nelle loro dimore, nascondevano tesori di bottiglie nelle cantine sotterranee.

13 ettari divisi fra chardonnay (50%), pinot meunier (45%) e una piccola quota di pinot noir (5%), a loro volta suddivisi in una quarantina di parcelle (piccoli Lieux Dits), con un’età media di 30 anni.

La produzione non è molta, 70.000 bottiglie e il fiore all’occhiello del piccolo vigneron è che dal 1997 ha iniziato la conversione al biologico terminata nel BM22004. Ha ottenuto la certificazione Ecocert e sulle bottiglie e cartoni compare il bollino ministeriale Agricolture Biologique. Due ettari sono ora in biodinamica.
Un punto di partenza e uno sprone per Michel a proseguire il suo cammino sulla strada della qualità e del rispetto della natura e dell’uomo.

 

 

 

Per me invece è un invito a continuare a provare i suoi vini, per la terza, quarta e ora financo quinta volta perché lo champagne, quando è fatto così, merita di trovare sempre un posto in cantina.

Per inciso, è uno champagne che si accompagna a tutto, ma proprio tutto. Io l’ho gustato con un carpaccio di manzo, scaglie di grana e olio del Lago di Garda, sale di Cervia e un carissimo amico.

 

Distributore per l’Italia: NOW Non Ordinary Wines

Un rivoluzionario a Ovada

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La Rivoluzione Francese, si sa per certo, è iniziata il 14 Luglio 1789 con la Presa della Bastiglia, simbolo indiscusso dell’Ancien Régime, ad opera del popolo di Parigi.

Questa, in estrema sintesi, la storia francese.

Non tutti però sanno che, ormai da nove anni, anche ad Ovada si festeggia questo giorno in modo atipico e, per certi versi, rivoluzionario.

L’idea è nata dalla mente attenta e fervida di Giuseppe Martelli, patron di una bellissima champagneria, il Quartino diVino, che, mosso dal suo grande amore per lo champagne (tanto quanto il mio, ed è tutto spiegato), ha pensato bene di festeggiare questo giorno tramutando la Bastiglia, simbolo di libertà popolare, in una serie innumerevole di mathusalem di Drappier (sono 6 litri, signori….!), lo champagne a base di Pinot Nero originario di Urville, un piccolo village nel sud profondo della Champagne.Giuseppe Martelli

Il Quartino diVino si trova in pieno centro storico ad Ovada, in una di quelle viette strette pavimentate a sanpietrini, che rendono la passeggiata in vasca una prova speciale quando dotati di un tacco superiore ai 3 centimetri.

Ma questo non ha certo fermato Giuseppe nel concepire e mettere in atto la sua brillante serata.

Lungo la via, all’esterno della champagneria, vengono allestiti tavoloni di legno, con panche lungo i due lati, che riescono ad accomodare il “popolo” rivoluzionario man mano che arriva alla spicciolata.

vie quartinoQuest’anno, vista la facilità con cui il cielo ci regala acquazzoni, sono state messe delle tende sospese a protezione degli ospiti.

drappierOgni tavolo ha la possibilità di ordinare una mathusalem di champagne per far fronte agli attacchi di sete che prendono improvvisamente ogni volta che si partecipa a questa serata.

Cinzia Natali, la compagna di Giuseppe, e chef del Quartino diVino, prepara ogni anno un menù diverso per accompagnare in modo “solido” lo champagne che, a partire dalle 7 della sera, comincia a scorrere a fiumi, e non è una metafora.

Staff quartinoOrganizzazione affinata nel corso degli anni e arrivata ad un livello che rasenta la perfezione: ogni tavolo è numerato, assegnato ai fortunati che lo hanno prenotato per tempo, e curato dai collaboratori del Quartino, tutti ragazzi giovani, belli e gentili, che per una sera e una notte diventano gli angeli custodi del tempo perso fra un brindisi e l’altro.

 

 

 

Quest’anno la Presa della Bastiglia si è svolta il 12 Luglio, lo scorso sabato.

Non volevo assolutamente perdermela e, con altri amici, abbiamo raggiunto la nostra postazione nel tardo pomeriggio.

E lì abbiamo avuto una sorpresa meravigliosa: la presenza di Michel Drappier, proprietario della Maison di Urville.

Già, tanto ha detto e tanto ha fatto che, insieme alle casse di champagne, Giuseppe è riuscito a fare arrivare anche il grande patron di Drappier, uomo di estremo fascino e charme che è rimasto sbalordito (très étonné, per restare in tema) dall’energia e convivialità che, insieme alle bollicine, si sprigionavano in modo crescente da tutti i festanti arrivati alla meta.M Drappier

E che dire del vino? quest’anno semplicemente meraviglioso. Tenace senza essere troppo potente e muscoloso, materia piena, convincente e molto piacevole nel sorso. Nonostante le quantità (si parla di vagonate in questi casi) il mal di testa del giorno dopo è stato pari a zero assoluto.

Champagne e musica, risate e canzoni cantate, anche stonate, ma con il cuore, danze sui tavoli, più o meno traballanti, tacchi rovinati, tanto domani si mettono le espadrillas, esercizi ginnici notevoli per versare l’oro liquido da una mathusalem ad un bicchiere.

E tanta, tanta allegria, quella sana.

Questa è la Presa della Bastiglia di Ovada.

La storia di Giuseppe è singolare. Non è nato oste (come ama definirsi), lo è diventato per passione e amore verso il vino, lo champagne in particolare.

Lui e Cinzia hanno voluto creare il loro “locale dei sogni”, il posto che avrebbero desiderato trovare da fruitori mettendosi però dall’altra parte del banco.
Nasce così il Quartino diVino: 4 Marzo 2004, data ricordata più e più volte anche nella canzone di Dalla.

E ci ha creduto, tanto, tantissimo.

Ha selezionato con cura tutta la sua carta dei vini, ha avuto la fortuna di avere una compagna che cucina in modo meraviglioso (oltre a sopportarlo ….!), di avere amici che lo hanno sostenuto e la lungimiranza di seguire la strada della qualità, senza esagerare con i prezzi.
E lavoro, tanto lavoro, tante ore spese dedicandosi al suo posto, che ormai è diventato un punto di incontro per tanti.

Ci troviamo sovente, lui ed io, a queste riunioni “frizzanti” e spesso discutiamo insieme di quello che maggiormente ci è piaciuto o di ciò che non ci ha convinti.
In modo molto pacato, sempre molto rispettoso.
Mi piace Giuseppe, è una persona seria, buona e intelligente.

E sono contenta che il suo Quartino diVino abbia successo. Se lo merita, se lo meritano, lui e Cinzia.

bottiglie drappierOrmai sono le cinque del mattino. I tavoli sono stati quasi tutti ritirati, i ragazzi sono quasi pronti per andarsene a casa e farsi qualche ora di sonno, le strade sono già state ripulite e le bastiglie sono state liberate: 49 quest’anno.

49 bottiglie per 294 litri di champagne…e già si sta pensando alla prossima data: 11 Luglio 2015.
Io mi porto avanti e prenoto, non si sa mai!

 

Lo Champagne Drappier è distribuito da Partesa Srl.

 

IL TERZO STOPOVER DEL NOSTRO VIAGGIO: I CREMANTS

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Vini poco conosciuti, ancor meno bevuti. Eppure ve ne sono di alcuni che sono meravigliosi e che hanno un rapporto q/p difficilmente riscontrabile in altri spumanti.

Con questo termine sino al 31 agosto 1994 venivano indicati gli Champagnes elaborati in modo da sviluppare meno anidride carbonica quindi con una spuma più delicata degli champagnes tradizionali. La pressione nelle bottiglie risultava con un’atmosfera inclusa fra 3,5 e 4,5 bar, invece delle 6 degli champagnes tradizionali.

VdBCremants

Una volta questo appellativo indicava anche in Italia gli spumanti con tale pressione atmosferica (vedi Satén) ma ad oggi tale nome è riservato solo ad alcuni vini prodotti con metodo classico all’interno della Francia in zone ben delimitate ai quali è stata conferita la classificazione di AOC (Appellation d’Origine Contrôlée).

La Champagne ha dovuto abbandonare questo appellativo, avendo chiesto una protezione per il nome champagne e méthode champenoise.

Per chiamarsi Crémant quindi un vino bianco e/o rosato mosso deve avere le caratteristiche seguenti (Regolamento (CE) n° 607/2009 della Commissione Europea del 14 Luglio 2009):

  • Aver fatto la seconda fermentazione in bottiglia (come i metodi classici)
  • Aver fatto una sosta sur lattes (affinamento sui lieviti) di almeno 9 mesi
  • Essere messo in commercio dopo 12 mesi dal tirage (fase di inizio della seconda fermentazione)
  • Essere prodotto in una delle regioni previste nella AOC che sono

carte-des-cremants-de-France-1024x1024Alsace

Bordeaux

Bourgogne

Die

Jura

Limoux

Loire

Luxembourg

 

 

  • Vendemmia manuale
  • Mosto non superiore a 100l per ogni 150Kg di uve
  • Solfiti aggiunti non superiori a 150 mg/l
  • Liqueur d’éxpedition non superiore a 50 g/l

Generalmente i Crémants vengono ottenuti da una stessa vendemmia, ossia sono praticamente quasi tutti millesimati (senza aggiunta di vins de réserve).

I vitigni utilizzati sono diversi in funzione dell’area di produzione e sono:

Crémant d’Alsace (Pinot Blanc, Riesling, Chardonnay, Pinot Noir, Pinot Gris)

Crémant de Bourgogne (Chardonnay, Aligoté, Pinot Noir)

Crémant de Loire (Chenin Blanc, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc)

Crémant de Bordeaux (Sémillon, Sauvignon, Ugni Blanc, Cabernet Sauvignon, Merlot)

Crémant de Limoux (Mauzac, Chardonnay, Chenin Blanc, Pinot Noir) – Blanquette de Limoux         (almeno 90% Mauzac)

Crémant de Die (Clairette)

Crémant du Jura (Savagnin, Chardonnay, Poulsard, Pinot Noir, Pinot Gris, Trousseau

Crémant de Luxembourg (Pinot Blanc, Riesling, Chardonnay, Pinot Noir, Pinot Gris).

Alsazia al primo posto con 34 milioni di bottiglie (anno) vale a dire il 25% della sua produzione globale di vino.

Al secondo la Borgogna con 18,7 milioni di bottiglie.

A seguire la Loira con 11,5 milioni.

Noi ne abbiamo provati ben 4:

Il Crémant d’Alsace George Klein

50% Pinot bianco, 20% Chardonnay, 10% Riesling e 10% Pinot grigio

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Sventagliata di profumi d’agrume e di aria di fiori di primavera. Piacevole e interessante la sensazione al palato.

Tensione e freschezza iniziali rimandano, in un secondo tempo, ad una morbidezza mai scontata e mai seduta.

 

 

 

 

Dosaggio che non si avverte e Pinot Bianco che dice sapientemente la sua senza rischiare dei essere un assolo, perché la voce corale è sicuramente più complessa. E anche persistente.

Ottimo con la Michelina alle erbe di Formaggi Gigi.

 

Crémant de Loire Domaine Dutertre – Cuvée St. Gilles

30% Chenin bianco, 30% Chardonnay, 30% Pinot nero, 10% Cabernet.

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Un’azienda piccolissima questa (30.000 btg/anno), nel cuore della Loira, la regione dello Chenin, chiamato anche Pineau de Loire.

Un vino beverino, allegro, senza troppe implicazioni.

Chardonnay e Chenin prendono il palcoscenico e si alternano in bocca con profumi di arancia e albicocca non troppo matura.

Il Pinot Nero sancisce questa unione con una bella sferzata di potenza.

 

 

Blanquette de Limoux Cuvée Résilience di Alain Cavaillès

90% Mauzac, 5% Chenin e 5% Chardonnay.

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La Blanquette de Limoux ha un’origine molto molto antica e si dice (si dice…) che questo vino sia il vero precursore dello Champagne.

In effetti già nel 1531, a qualche kilometro da Limoux, i monaci dell’Abbazia di St Hilaire, si resero conto che il vino bianco che avevano imbottigliato e chiuso con del sughero formava delle bollicine in bottiglia.

Nasceva così la Blanquette de Limoux che si differisce dal Crémant in quanto nella blanquette il vitigno principe è il Mauzac che deve essere presente per almeno il 90% dell’uvaggio. Consentiti un 10% di chardonnay e/o chenin per completare la cuvée.

Qui il profumo è davvero notevole e fresco. Vino da aperitivo per eccellenza, si sposa comunque bene anche con i formaggi non troppo stagionati ma di grandi aromi.

Ecco perché lo abbiamo abbinato ai formaggi di Gigi: i suoi Gigetti al balsamico, le Micheline alla grappa e alle erbe, la Michelina alla grappa, il Delicapra al porto.VdBCremants7

Formaggi molto profumati ma dal sapore estremamente delicato e gradevole.

Gigi è un affinatore della Valle Imagna e cura personalmente tutte le sue creature con attenzione e meticolosità. Il risultato lo si ha in tavola.

I formaggi sono stati divorati in un battibaleno !!

 

 

Infine ecco un
Crémant du Jura – Désiré Petit
nella versione rosé.

100% pinot noir.

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La stranezza del pinot nero coltivato in una regione che non è la sua culla di nascita.

Eppure devo riconoscergli una bell’approccio profumato, una giusta complessità di aromi e una gradevole potenza che non eccede mai.

Fresca e di grande trama la bocca dove acidità e onde di frutta ammaliano le papille in modo sempre elegante.

Direi che anche la persistenza abbia un ruolo importante in questo vino che riesce a soprendermi e che trovo perfetto con gli spaghetti con pomodorini confit e origano siciliano.

E dato che non ci siamo fatti mancare nulla, come corollario alla nostra golosità abbiamo aperto la focaccia alla birra di Claudio Gatti.

E lì i veri gourmand non sono riusciti a trattenersi.

“Soffice, dal sapore delicato e ad alta digeribilità: sono le caratteristiche uniche di VdBCremants6questa focaccia. È prodotta con lievito naturale “La Madre”: la pasta viene lasciata riposare per 30 ore. È fatta con ingredienti di alta qualità, selezionati e insaporiti dalla delicata fragranza regalata dalla birra di produzione artigianale.”

 

 

 

 

 

 

Insomma, un’altra serata all’insegna del gusto, del piacere, del buon vino e degli amici.

Chez La Dame du Vin.

I Crémants sono distribuiti da: Lungo la via Francigena.

LA SECONDA TAPPA DELLA NOSTRA BOLLICINA

VdBEccellenze italiane

Per la seconda fermata del nostro viaggio abbiamo goduto di alcune eccellenze italiane del metodo classico.

A farci compagnia quindi:

Il Franciacorta QZero 2009 di Quadra, il Trentodoc Maso Martis con il Brut Riserva 2007 e l’Alta Langa di Cocchi Bianc ‘d Bianc 2008.

Anche la nostra gola è stata ampiamente soddisfatta.

 

 

Il culatello di Faust Brozzi è stato oggetto di furto con destrezza da parte di tutti i commensali che, alternandolo allo strolghino, hanno creato una staffetta golosa e meravigliosamente ricca di sapori.IMG_3645

Stagionatura di 24 mesi, affinamento nelle cantine della “bassa parmense”, dove l’umidità e la nebbia contribuiscono a creare questi capolavori del gusto, solo 800 pezzi prodotti all’anno.

Una piccola grande opera d’arte.

 

Il Franciacorta QZero di Quadra, millesimo 2009.IMG_3647

Non so se sia per il fatto che a questa vendemmia abbia partecipato anche io (un leggero egocentrismo!), per il fatto che quell’anno l’uva sia risultata pulita e molto sana, o per il fatto che Mario Falcetti il suo lavoro lo sappia fare in modo impeccabile, ma la certezza è che abbiamo bevuto un vino straordinario.

Profumi franchi di pane tostato e di lievito, non fastidioso, un tocco di erba salvia e di mentuccia fresca, piccole evoluzioni di agrume insieme a frutta secca.

 

E una grande, magnifica freschezza che rende snello un Franciacorta dotato di trama estremamente fitta e complessa.

Che bel bere!

Il TrentoDOC Brut Riserva 2007 di Maso Martis, un’espressione classica del Pinot Nero del nord.

Con un po’ di boisé reso meno invadente da un tocco di limone qui e là.IMG_3652

 

 

Forse sboccatura un po’ giovane ma diamogli tempo, la struttura c’é, ed è bella, accattivante. Con queste bottiglie ci vuole pazienza, e noi ce l’abbiamo!

 

 

 

 

L’Alta Langa Bianc ‘d Bianc (già proprio in piemontese!) 2008 di Giulio Cocchi.

Imperdibile nella sua interpretazione dello Chardonnay di Langa trasformato in metodo classico.Cocchi

Elegante, fine, equilibrato. Una bella dama pronta per un gran ballo sulle note dolci di un valzer viennese, o a far pariglia con quelle altrettanto dolci del culatello, spumeggiando in bocca senza tregua.

E si riparte per il nostro viaggio, in attesa della prossima sosta….

Uomini e vini insieme all’insegna della qualità, un “must” per Pellegrini

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Il 12 e 13 Maggio scorsi la Pellegrini SpA ha organizzato due giornate dedicate all’assaggio dei vini e dei distillati che distribuisce in Italia.

La degustazione era riservata agli operatori del canale Ho.re.ca. e super Ho.re.ca.
L’allestimento è stato creato presso l’Agriturismo Solive, uno dei migliori della Franciacorta, e ha dato la possibilità a tutti i produttori presenti nel Carnet di degustazione di confrontarsi con un pubblico specializzato.

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La parola chiave che ha accompagnato questo evento, che ho avuto la fortuna di vivere in prima persona, è stata: qualità.
In primis la qualità dei prodotti presenti, italiani e stranieri, tutti, salvo rare eccezioni, con il produttore al banco di assaggio per dare una ragione e una spiegazione a quanto veniva versato nel bicchiere.
La qualità dell’organizzazione affidata a mani esperte e serie.
La qualità delle persone presenti, persone motivate e orgogliose di lavorare per questo team giovane e dinamico.

Più di 100 i produttori presentati, italiani ed esteri, più di 1000 i visitatori in due giorni di assaggi. Mica è uno scherzo!

Due location aperte per il pubblico: l’Agriturismo Solive, destinato alla presentazione dei vini e dei distillati, e la cantina stessa di Solive, produttrice del Franciacorta distribuito appunto da Pellegrini, destinata agli champagne e ai vini spumanti, quelli che io chiamo, in gergo “tecnico”, le bollicine.

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Ma il team Pellegrini non si è limitato a fare assaggiare i vini, no, certo che no.

Sono state anche organizzate Masterclass con un numero chiuso e selezionato di partecipanti fra cui spiccavano: la verticale di Jacquesson con quattro cuvée della serie 7: 737 – 736 – 735 – 733, guidata da Jean-Hervé Chiquet, uno dei due fratelli che conducono la Maison di Dizy ormai simbolo indiscusso di eccellenza nella Champagne; verticali di Campogrande Cinqueterre, tenuta da Elio Altare e Tonino Bonanni; Roncùs Collio bianco Vecchie Vigne, con Marco Perco, la falanghina Quintodecimo Via del Campo, di Luigi Moio, per citarne alcuni, sino ad arrivare ad una meravigliosa degustazione di 4 rum della Pellegrini Private Stock condotta da Alessandro Pugi, eminenza grigia in fatto di distillati.

Ovviamente la verticale di Jacquesson non l’ho mancata e, ogni volta che mi avvicino a questo champagne, mi vengono i brividi dall’emozione.

Dunque dicevamo la serie 7 con, a far da capofila, la cuvée 737, l’ultima uscita da casa Chiquet e relativa alla vendemmia del 2009, dal colore dorato e dalle note vanigliate e boisée, con un bellissimo sentore di frutta dolce e una bella acidità che lo solleva. Vino godibilissimo fin d’ora, provare per credere.

 A seguire la 736, base vendemmia 2008. La mia preferita della serie.

Colore meno intenso rispetto alla precedente e profumi nettamente più freschi e salini.

La mineralità e la freschezza cantano a squarciagola annunciando uno champagne che, purtroppo, secondo me deve ancora aspettare in cantina che arrivi il suo momento, quello perfetto.
Armiamoci di pazienza!

Arriviamo alla 735, millesimo di riferimento il 2007.
L’oro del bicchiere è molto marcato. Una sventagliata di profumi confetto si si leva solleticandomi il naso.
Sorso piacevole e croccante senza essere troppo di tutto. Un bell’equilibrio e una eleganza sottile.

Eccoci alla cuvée 733, elaborata a partire dalla vendemmia 2005.
Le condizioni meteo di quell’anno non furono particolarmente difficili ma il mese di Luglio fu un po’ troppo piovoso, favorendo lo sviluppo della botrytis.
Nonostante qualche difficoltà la Maison Jacquesson riuscì a produrre, con cura e meticolosità, uno champagne eccellente, ben al di sopra della media.
In effetti il mio assaggio conferma quanto sopra descritto. La 733 è una delle cuvée memorabili.
Equilibrio e potenza senza arroganza.
Pieno e moussoso in bocca, avvolge il palato totalmente e porta una pienezza confortante.
E’ minerale, fresco ma non magro e pungente.
Tanta frutta bianca fresca, tanto agrume, un paio di mandorle qui e li, e una bella nuance di crosta di pane tostato con il forno ancora aperto.
Un grande, grande vino. IMG_2994

Ma non è finita qui, Jean-Hervé ha tenuto in serbo la sorpresa finale: 733 DT in versione definitiva con etichetta!
Di questo vino non parlerò, se non per dire che secondo me è una vera opera d’arte cesellata da sapienti mani e dal tempo. Il resto lo avevo già scritto dopo uno dei miei viaggi in Champagne.
E’ stata però una forte emozione vedere un prodotto pronto e vestito e pensare che io l’avevo assaggiato ancora quando il suo nome era scritto a pennarello sulla bottiglia.

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E poi, durante il mio vagabondare sorseggiando, come scordare il meraviglioso Pétale de Rose di Château La Tour de l’Évêque, vino AOC della Côte de Provence IMG_2977con un uvaggio tanto vario (grenache, cinsault, syrah, mourvèdre, semillon, ugni-blanc, rolle) quanto delicato, certificato bio è profumatissimo e molto elegante.

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Oppure il Sancerre d’Antan di Henri Bourgeois fatto con il sauvignon blanc di una piccola parcella di vigne vecchie di 70 anni che crescono su terreno silex, affinato in barrique vecchie fino a sei anni e imbottigliato seguendo il ciclo lunare.
Forti emozioni in quel bicchiere, fortissime.
Dai profumi netti e puliti di roccia e minerale, a quelli più esotici delle spezie dolci raccolte in un paniere, per ritornare alla sferzata netta di succo di limone.

E ancora il Pouilly Les bois de Saint Andelain di Michel Redde, anch’esso prodotto da vigne di 40 anni e più che farebbe rinvenire chiunque con i suoi sentori di sale e di “pierre à fusil”.

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E che dire della gamma straordinaria di Willm, con tutte le sue bottiglie renane

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e i colori e profumi dell’Alsazia con i Riesling, Muscat e Gewürztraminer.

Che dire?

Semplicemente godere di tanta beltà e piacevolezza, di tanta serietà e lavoro, di tanta passione e competenza.

La qualità la fa la natura, ma ancor di più l’uomo che di essa ha cura e la rispetta.

Pietro Pellegrini lo sa bene quando sceglie i “suoi” vini e i suoi uomini, quelli che producono e quelli che vendono.

E lo capiscono bene anche gli uomini che i “suoi” vini li comprano e li bevono.

Questo feeling di qualità e di rispetto è quello che si è respirato durante i due giorni a Solive. E in tempi come questi, credete, non è poco.

Philippe Gilbert: uno champagne che corre al Tour de France

Philippe Gilbert

Champagne Philippe Gilbert – Cuvée La Jolie Fillette
35% Pinot Noir – 30% Pinot Meunier – 35% Chardonnay
Brut Premier Cru

 

Nasce da un’idea di Giulio Menegatti e Luca Gatti questo champagne fatto con le uve di villaggi Premier Cru nei dintorni di Aÿ.

 

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Philippe Gilbert è il ciclista belga(giovane e direi anche carino) che vincendo una tappa del Tour de France che Giulio e Luca stavano guardando,
ha ispirato questo nome.

Le loro etichette, che riportano quadri di Marc Chagall sono state registrate presso CIVC di Epernay e possono essere liberamente commercializzate in tutto il mondo.

La Cuvée La Jolie Fillette riproduce il dipinto “La Promenade”.

Ma veniamo allo champagne.

I profumi si espandono appena lo verso nel bicchiere. Colore deciso ma non eccessivamente carico.

Albicocca, ananas, crosta di pane, burro fuso, agrumi. In successione e senza troppe pause.

Bocca asciutta ma ben bilanciata.

Ritrovo molta ananas, tanto cedro, una nota amara di pompelmo giallo e il burro appena messo in padella a fondersi.

Una bella piacevolezza resa ancora più interessante dalla persistenza.

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Non ha una complessità da strapparsi i capelli e non reggerebbe un piatto di carne o di pesce salsato ma per un aperitivo con piccoli amuse-bouche, tartare di pesce o crostacei posso assicurare che c’è da divertirsi, e seriamente anche!

Parola di Dame

Voto: 87/100

Distribuito da:
G.M.F. Srl
Via San Marco 11/c
Padova
www.giuliomenegatti.it

La selezione delle QUVÉES…da Quadra Franciacorta.

Articolo Dame 1

E’ il sesto anno consecutivo che vengo invitata da Mario Falcetti, Direttore Generale di Quadra Franciacorta , a partecipare all’importante tavolo di degustazione che porta alla scelta dei vini da utilizzare nelle cuvée che avranno come base la vendemmia dell’anno precedente.

Il panel di degustazione,  si fonda su elementi di spicco ormai consolidati come i sommelier Davide Bonassi e Marco Pozzali (quest’anno assente per una influenza), il proprietario della cantina Quadra, Ugo Ghezzi, con sua figlia Cristina, il responsabile di produzione, Sergio Gatti,  la responsabile del controllo qualità, Antonia Tancredi e quest’anno su alcune importanti new entries fra cui lo Chef stellato del ristorante Dispensa Pani e Vini  di Erbusco , Vittorio Fusari  , oltre che, anche lui per la prima volta, il figlio di Ugo Ghezzi, Marco.

25 persone sedute intorno ad un tavolo che esprimono le loro opinioni in fatto di vino e la loro visione sul vino del futuro in base a quanto hanno nel bicchiere.

Tavolo della commissione

Questo momento, di solito messo a calendario la primavera dell’anno successivo alla vendemmia, è di fondamentale importanza nella produzione di un metodo classico.
E’ il momento in cui i vini, che hanno svolto la prima fermentazione alcolica singolarmente, in base al vitigno, nelle vasche d’acciaio, o nelle botti di legno, vengono “miscelati” fra loro, in quantità diverse, in modo che le caratteristiche tipiche di ognuno dei vini che concorre possano confluire nel risultato finale, e quindi nel blend risultante.

Le caratteristiche tipiche non sono date solo dai diversi tipi di vitigno ma dalla posizione del vitigno stesso, dall’esposizione solare, dal tipo di coltivazione, dall’età delle vigne, dal momento in cui viene vendemmiato.

I vini della prima fermentazione, quindi, hanno differenti note aromatiche che, insieme come in un matrimonio, e in base al carattere che si vuol dare al vino finale, vengono sapientemente coniugate per dare vita ad una armonia del gusto, proprio come i diversi strumenti di un’orchestra si avvicendano creando l’armonia della musica sotto l’egida del direttore d’orchestra.
Nel nostro caso il direttore d’orchestra, è lo Chef de Cave: Mario Falcetti.

L’assemblaggio della produzione verrà poi effettuato nelle grandi vasche d’acciaio dove verrà fatto il “tiraggio”, ossia inserita la “liqueur de tirage” che darà luogo alla seconda fermentazione, quella in bottiglia, quella dove si creano le famose bollicine degli spumanti.

La prima selezione, quella veramente a tappeto, viene fatta a priori in cantina, da Mario, Sergio e Antonia.

Articolo La Dame 3

Sono loro che, spillando il vino dalle vasche e miscelandolo nelle provette di laboratorio in percentuali diverse, riescono a produrre i tre blend migliori che poi verranno portati all’assaggio della commissione.
Quello che noi ci troviamo sul tavolo, di conseguenza, è il trittico della migliore selezione fatta a monte.

 

 

Prima di iniziare Mario ci saluta ed esprime la sua idea sul momento che andiamo a vivere e, in generale, sul Franciacorta, vino in cui crede da anni e che ha dimostrato di sapere fare bene con i suoi prodotti sempre in continua evoluzione qualitativa.
E’ una fase fondamentale, forse la più significativa che si ripete annualmente dalla primavera 2009, nella vita dell’azienda e corrisponde al “battesimo” dei nostri Franciacorta e sono solito associare questo momento al “collo della clessidra” attraverso il quale l’uva si accinge a divenire Franciacorta. Le vigne, i vitigni, le selezioni che dalla vendemmia e sino ad oggi hanno vissuto di vita propria, ciascuna interpretata in modo da esprimerne al massimo le potenzialità, oggi, perdono la propria identità facendola confluire nelle quvée che tra qualche anno saranno bollicine compiute.
            Sin qui la cura dei nostri vini base è stata garantita dallo staff aziendale ma in quest’occasione ho il piacere di condividere il nostro lavoro con la vostra esperienza, il vostro gusto, le vostre aspettative.”

Ci parla della selezione manuale delle uve, dell’impiego esclusivo della prima frazione di pressatura, della valorizzazione della acidità primaria evitando le malolattiche, dell’impiego modesto di solfiti aggiunti, della valorizzazione del Pinot Bianco, vitigno a lui sempre caro.
Insomma ci parla da uomo innamorato, del suo lavoro in primis, e di questa terra poi.

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Le postazioni sono pronte: tovaglietta, tre bicchieri per il vino, uno per l’acqua, qualche grissino per il “fondo”.

 

 

 

 

 

 

 

Viene distribuito il foglio con le 7 selezioni che dovremo fare, 3 vini per ognuna:

QSatèn – solo uve a bacca bianca, solo Brut e pressione di 4.5 atm/lt
EretiQ – la scommessa di Mario, un Franciacorta fatto solo con Pinot
Qzero – il brut nature
Quvée 82 – il millesimato
Qrosé – l’anima rosa
Qblack – la “mise en bouche”, quello che comunemente viene definito il prodotto “base” e che sarà realizzato al momento dopo la scelta delle altre Quvée.

Si parte avvinando il bicchiere e la bocca con un’anteprima di EretiQ 2010, blend di Pinot Bianco e Chardonnay dopo 32 mesi di sosta sui lieviti. Profumi intensi, bella vivacità, freschezza impagabile. Una bollicina più “nordica”, l’ha definita il mio amico-collega Davide Bonassi.

Si comincia la valutazione, si tratta di capire quale dei tre vini che abbiamo nel bicchiere sarà il più indicato a divenire Satèn 2014, tenendo presente che:
– Nella bottiglia si svilupperà l’anidride carbonica della seconda fermentazione in ridotto (bottiglia);
–  Il vino riposerà per almeno 30 mesi sui lieviti (24 di disciplinare ma MF lascia che il tempo abbia la sua parte importante nella formazione del vino)
–  Ci sarà un minimo di residuo zuccherino dovuto all’aggiunta della liqueur d’expedition
–  Il Satèn dovrà comunque essere elegante, morbido, avvolgente, e dotato di una bella freschezza e sapidità.

E si continua così per ogni valutazione che si deve fare, ricordandosi che il prodotto finale di quanto stiamo degustando noi, avrà sì l’anima di quanto stiamo bevendo ora, ma tutto il resto sarà completamente diverso. E questo compito non è facile.
Il vino nel bicchiere, quello che i francesi chiamano “vin clair”, è un vino fermo, senza anima profonda, con acidità alle stelle e disarmonia molto accentuata.
Ma non è questo ciò che il degustatore chiamato a compiere una selezione del genere deve giudicare.

Lui deve cercare di immaginare l’evoluzione del vino partendo da una base tangibile. Dovrà pensare all’armonia di cui parlavamo all’inizio come a un punto d’arrivo dopo un viaggio per nulla banale e monotono.

Dovrà altresì pensare all’immagine della Cantina per cui è chiamato a selezionare e alla coerenza della gamma dei suoi vini. Dovrà pensare alla reazione del pubblico che poi gusterà questi vini nei diversi locali e ristoranti.

Insomma deve tenere conto di una serie di fattori e di variabili che possono far prendere una direzione piuttosto che un’altra.

Questa responsabilità, nelle cantine di Franciacorta, così come nelle Maison di Champagne, viene demandata allo Chef de Cave che si avvale, come abbiamo detto, di un pool di persone fidate da cui prendere spunto e suggerimenti.

E se, come Mario Falcetti, è un capo democratico, la decisione presa scaturisce da una votazione delle diverse preferenze dove, il capo, ha comunque diritto ad un “casting vote” per carica acquisita.

L’esperienza è una tra le più interessanti, sebbene complesse, nella vita di un sommelier e appassionato di spumanti.

Ci si confronta in modo aperto e diretto, si esamina il contenuto di ogni bicchiere valutandone i fattori più disparati, si parte dal presente per approdare ad un futuro che non si conosce, si immagina, in base alla propria esperienza e sensibilità gustativa. Si apre un mondo misterioso e invitante.

Alla fine di questa “tavola rotonda” ci si sente provati, stanchi, un po’ stralunati. Degustare dei vini che hanno ben poco di quelle caratteristiche piacevoli che di solito si ritrovano in una bottiglia di Franciacorta lascia a dir poco esausti.

Ma la passione, l’amore, la curiosità e la voglia di scoperta che muovono questi passi, sono talmente forti che la stanchezza si lascia alle spalle e si è felici come fanciulli per aver partecipato alla nascita di qualcosa di meraviglioso: i nuovi vini.

Ahhh….ça fait du bien à mon coeur.

Parola di Dame.

Champagne Jacquesson: quel che conta è il punto d’inizio.

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Voglio inaugurare il mio nuovo sito e le pagine dedicate ai vini del (mio) cuore aprendo con uno degli champagne che prediligo, Jacquesson è uno dei produttori a me più cari, Jean-Hervé Chiquet che, insieme al fratello Laurent, ha ripreso il controllo della Maison dal 1974.

Ho avuto già modo di parlare dei loro vini, e in particolare della penultima Cuvée della serie 7, esattamente la 736, e l’ho sempre fatto con vero entusiasmo.

Questa volta Jean-Hervé, a casa sua, a Dizy, mi parla in modo più disinvolto, mostrandomi la terra, la cantina, le vasche di fermentazione e la “sala delle prove” in cui vengono raccolte due file di botti riempite con vini diversi,

assemblaggi diversi, affinamenti diversi. Insomma proprio un piccolo laboratorio dove sperimentare cose sempre nuove.
E soprattutto parlandomi delle novità in casa Jacquesson.

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Hervé è convinto, e segue questa filosofia sin da quando si è occupato della Maison, che per fare un buon vino si debba partire da uve buone, impeccabili.
Le vigne sono coltivate in modo biologico ormai quasi per tutti gli ettari diproprietà ma i due fratelli Chiquet non amano apporre etichette e allegare certificati ai loro champagne. A loro basta seguire la natura, rispettarla e aiutarla, laddove possibile, a dare il meglio di quanto possa dare.

I loro champagne devono conservare, in primo luogo, la complessità della terra da cui provengono e, secondariamente, il carattere dell’annata vendemmiata.
I dosaggi degli champagne Jacquesson sono sempre molto ridotti e realizzati in base a continue degustazioni.

Per Jean-Hervé la liqueur d’éxpedition è un elemento del vino, e non una cura. Sante parole!

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Jacquesson produce 4 Lieux Dits (piccole parcelle comunali) che sono solo millesimati e solo quando il millesimo lo consente in termini qualitativi e quantitativi:

1) Dizy, Terres Rouges Rosé – Blanc de Noirs a Pinot Nero
2) Avize, Champ Caïn – Blanc de Blancs
3) Aÿ, Vauzelle Terme – Blanc de Noirs sempre a Pinot Nero
4) Dizy, Corne Bautray – Blanc de Blancs

La decisione di fare i Lieux Dits viene presa dopo un’accurata degustazione “à l’aveugle”, alla cieca, considerando i parametri seguenti:

a) Le uve sono sufficientemente buone per fare questi champagne
b) Le uve sono sufficienti per fare questi champagne

Il Comitato decisionale, per tutti gli champagne Jacquesson, è costituito dai clienti più fidati ed importanti di Jacquesson: gli stessi Jean-Hervé e Laurent Chiquet !

Meraviglioso e significativo l’aneddoto sui Lieux Dits del 2011 raccontatomi da Jean-Hervé:

Il Pinot Noir di Terres Rouges è stato utilizzato in parte per fare il rosé da macerazione e in parte per l’assemblaggio della serie 7xx.
Il Pinot Nero di Vauzelle Terme non era all’altezza e, come il precedente, è stato utilizzato per l’assemblaggio.
Lo Chardonnay di Champ Caïn era buono ma non sufficiente per fare un numero congruo di bottiglie. In assemblaggio anche lui.
Lo Chardonnay di Dizy invece si è rivelato perfetto e alla vendemmia, avvenuta il 14 Settembre, giorno del compleanno della mamma di Jean-Hervé e Laurent, ha partecipato anche lei, insieme ai figli e a tutta l’équipe che ha festeggiato con loro l’avvenimento.

Una delle principali novità è che, a partire dalla vendemmia 2012 il Dizy Terres Rouges non sarà più prodotto in rosé, e quindi con la macerazione sulle bucce, ma con la vinificazione in bianco.
E questo perché, sempre in base a degustazioni e valutazioni continue e attente, gli acini del Pinot Nero di questa zona sembra diano risultati migliori se non sono macerati.

Sino al 2002 Jacquesson proponeva anche i millesimati. Dal 2003 il millesimato uscirà solo in versione Dégorgement Tardif (DT). Il 2020 sarà quindi l’ultimo anno in cui il millesimo verrà commercializzato.

Novità anche per la serie 7xx, di cui ho già illustrato le singolari caratteristiche di assemblaggio nell’assemblaggio nell’articolo sulla Cuvée 736, ora affiancata dalla 737, uscita da poco.

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A partire dalla Cuvée 733, Jacquesson ha tenuto almeno 15/20.000 bottiglie della serie per poter uscire, in tempi più lunghi, con un Dégorgement Tardif della serie 7xx.
A Settembre 2014 uscirà quindi la 733DT, che ho avuto la fortuna di provare proprio in occasione della mia visita.

La vera piccola “rivoluzione” è che i fratelli Chiquet sono i primi a proporre un DT con la cuvée di base, e non con il millesimato.
La loro sicurezza nasce dal fatto che la qualità dell’elemento di partenza, le uve, sia ineccepibile e che quindi possa dare risultati altrettanto eccellenti, se non superiori, con il passare del tempo.

A coronamento di quanto sopra vi è anche la convinzione che il quantitativo prodotto non è destinato a crescere, esattamente l’opposto. Piuttosto che ai grandi numeri, Jean-Hervé e Laurent preferiscono dedicarsi alla cura dell’allevamento in vigna, alle forme di rispetto verso la natura, al continuo miglioramento dei prodotti che riescono a offrire ad un mercato sempre più esigente e poliedrico.

Prima di provare questa chicca pero’, ho avuto modo di assaggiare anche la 737, base vendemmia 2009.
Vino molto affilato ma molto più morbido e fruttato rispetto alla 736, rivelatasi al mio palato maggiormente tagliente e salina.
737 godibile fin d’ora, piena, rotonda.
736 ancora molto giovane, forse troppo. Da tenere ancora qualche anno prima di gustarsela appieno.

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Veniamo quindi alla degustazione.

DT 733
52% Chardonnay, 24% Pinot Noir e 24% Pinot Meunier con 16% di vini di riserva del 2004 e 6% del 2001.
Sboccatura: Settembre 2013

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Il millesimo di base è il 2005.

Inverno freddo, secco. Primavera come da manuale ed estate abbastanza umida. Insomma una stagione pressoché perfetta.
Vendemmia nella seconda metà di Settembre.

All’olfatto colpisce subito la nota di fiori bianchi e di nocciola, mista a sentori di camomilla e di miele.
Una elegantissima complessità intriga la bocca. Una dolcezza apparente di ananas caramellato e vaniglia lascia presto posto ad una crescente mineralità e freschezza.
Sottile e lungo nel suo cammino attraverso le papille, si rivela più che persistente a bocca vuota.
Ho molto amato la compostezza della 733, e questo champagne rivela che, se il punto d’inizio è buono, il risultato, con il tempo, non potrà che essere ottimo.
Aspettiamo quindi il prossimo Settembre per riconfermare queste impressioni ma vi posso assicurare che il successo sarà garantito.

Voto: 90/100

Ho deciso che, nelle mie visite in Champagne, l’ouverture avverrà in casa Jacquesson.
Sempre che Jean-Hervé non sia stanco di bere con me!

Parola di Dame.

Distributore: www.pellegrinispa.net