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A piccoli passi nella Champagne
Programma
L’iscrizione agli incontri ha un costo di 250 euro totali.
Riprendiamo a brindare?
Tanto, troppo tempo senza nulla scrivere e ciò non è buono.
Vediamo quindi di rimediare prima di tutto con un frizzante augurio per un anno meraviglioso, anche se ormai è iniziato il mese di Febbraio, e in secondo luogo di riportare tutti i programmi al punto giusto.
La Dame du Vin scrive anche su altri due blog: Cavolo Verde, di Laura Rangoni e Luciano Pignataro Wineblog, del Lucianone nazionale, appunto.
Vi ho inserito il link così potete facilmente trovare tutti gli articoli che ho pubblicato.
A Merano per il Wine Festival ho fatto subito visita al Club Excellence ovviamente.
E ho anche avuto modo di partecipare ad una bellissima degustazione di Charles Heidsieck a cui è seguita la mia visita in Champagne, grazie alla operosa attività di Philarmonica, da Aprile 2014 nuovo distributore italiano di questa storica maison.
Ne ho parlato in un articolo molto esaustivo sul blog di Luciano Pignataro con lo Champagne Charles Heidsieck. Subito al rientro da Merano sono partita per la Champagne dove sono rimasta per 10 giorni in un bellissimo loft di legno, proprio nel centro di Épernay.
Rinasco quando tocco quella terra, quando affondo i piedi nelle vigne, quando parlo con i vecchi produttori che amano il loro vino e non sanno chi potrà portare avanti il loro duro lavoro quando lasceranno.
Rinasco quando vedo la vigna addormentata e penso che riposi sorniona per riprendersi le energie dal suolo dopo avere faticato tanto per dare al mondo quello che si aspetta da lei: grappoli d’uva sani e rigogliosi.
Rinasco quando in una bottiglia riesco a vedere una storia, riesco a leggere un destino. Non sempre così felice.
Rinasco quando mi riconoscono al ristorante famoso di Avize, io, un piccolo esserino nella grande Champagne, che viene chiamata per nome: Madame Livia, La Dame…bonjour!
Non c’è nulla da fare, queste bollicine per me sono miracolose, provvidenziali, a volte insostituibili.
Quest’anno ci saranno quindi tante belle sorprese, a partire dalle serate Champagne itineranti, che iniziano il 24 Febbraio a Como, presso il Wine Bar Quarantaquattro, dai percorsi didattici sul vino, 4 lezioni di conoscenza su questo succo meraviglioso per non rimanere stupefatti davanti ad una carta dei vini, ormai sempre più complessa e articolata e a cantine che lasciano senza respiro.
E poi ancora il piccolo viaggio specifico nella Champagne e nello Champagne, per capire, scoprire, carpire i segreti di questa complessa regione francese.
Insomma, dei programmi estremamente interessanti e, soprattutto, creati a misura per ogni esigenza.
Andate a curiosare sulle news e troverete la data del primo incontro.
Con un bicchiere di bollicine vi auguro quindi Santé e vi aspetto in una delle mie serate per poterveli fare personalmente.
Votre Dame
Un vino di luce che viene dal buio. Si chiama Champagne
Martedì 24 Febbraio,
presso il Wine Bar Quaranta4,
in Via D’Annunzio 44,
a Como,
dalle 20:00 alle 22:30
Parleranno 6 Champagne, presentati e degustati con La Dame du Vin:
Bouquin Dupont Brut Réserve Blanc de Blancs Grand Cru
Dom Caudron Cuvée Camille Philippe Blanc de Noirs
Taittinger Prestige Rosé
Laurent Perrier Brut
Charles Heidsieck 2005
Dom Pérignon 2004
Un viaggio fra i piccoli vigneron e le grandi maison, fra bollicine dorate, rosate e millesimate, fra il classico che resta e il nuovo che avanza.
Ma sempre con la grande perfezione di un vino adatto ad ogni momento della vita.
La serata è proposta ad un prezzo di 50€
I bicchieri per ogni partecipante sono in sala, così come alcune prelibatezze per solleticare il palato durante la degustazione.
Per informazioni e prenotazioni:
bo.gest@libero.it – T. 031 506906
info@ladameduvin.com – T. 335 7093528
La magia di Matteo Baronetto e di Dom Pérignon, in una sera d’incanto
Ora do i numeri:
2, è il numero civico di Piazza Carignano a Torino dove c’è il Ristorante Del Cambio
5, è il numero delle cuvée Dom Pérignon degustate
14, è il numero delle portate preparate dallo Chef Baronetto e dei suoi collaboratori in cucina
20, è il numero delle persone attorno al tavolo della cena di Bibenda per il DP Wine Tasting Club
Infinite sono le volte in cui ho alzato il bicchiere, e ancora infiniti i miei pensieri di gioia assoluta nel vivere simili momenti.
Il ristorante Del Cambio, a Torino, è stato scelto come location dal Dom Pérignon Tasting Club di Bibenda per la degustazione di 4, anche se poi alla fine sono diventati 5, imperdibili cuvée (tutte frutto di assemblaggio di Pinot Noir e Chardonnay anche se si mantiene il più grande riserbo sulle percentuali):
Vintage 2004
P2 Vintage 1998
Rosé Vintage 2003
Rosé Vintage 1998
Œnothèque 1996
Anfitrione della serata Franco Ricci, presidente della FIS di Roma, che, insieme a Adele Bandera, Managing Director della società di comunicazione che cura Dom Pérignon in Italia, e Matteo Baronetto, Chef di casa, ha accolto gli ospiti con un aperitivo di benvenuto: Dom Pérignon Vintage 2004, testimone di un’annata molto bella in Champagne, con uve sane e abbondanti.
In effetti la pienezza della stagione si ritrova anche nel sorso che oso addirittura definire “curvy”, prendendo a prestito un termine ormai sdoganato.
Freschezza e suadenza, a passeggio mano nella mano. Ha una grandissima armonia questo vino e lo trovo molto più pronto e piacevole rispetto al vintage precedente che, di strada da fare, ne ha ancora tanta.
Dato che siamo i primi ad arrivare, Chef Matteo Baronetto, braccio destro di Cracco per tanti anni ci onora di un giro turistico in cucina, in cantina e al piano superiore dove è stato creato il Bar Cavour.
Già, la cantina…mi vorrei fermare lì per la serata, e anche per la notte, e magari farci anche la prima colazione!
Tavoli con candelabri accesi, pupitre vestite per l’occasione, profumo di vino che inebria il naso.
Le 20.000 bottiglie, ripartite nei diversi spazi della cantina, sono placidamente adagiate sulla nuda pietra o su scaffali di legno e suddivise per tipologia.
Lo chef sommelier del Cambio non è un tipo qualunque. Si tratta di Fabio Gallo, presidente dell’AIS Piemonte, un sommelier stimato e conosciuto, che dei vini ha fatto la sua ragione di vita (o quasi).
Il tour termina dopo la visita al primo piano dove è stato creato il Cocktail Bar, che offre anche qualcosa da mangiare, con carta differente dal ristorante, fino a mezzanotte.Sale con luci soffuse, ma non da uscita di sicurezza luminosa, e bancone bar bellissimo e perfettamente incastonato nella prima stanza.
La sala cavouriana, dove è stato preparato il tavolo per la nostra cena, è stata rifatta in modo minuzioso e preciso. Un lavoro magistrale. Anzi, un capolavoro.
La sala attigua invece è nuova e arricchita dalle installazioni di Michelangelo Pistoletto, artista biellese che, attraverso delle serigrafie sugli specchi alle pareti, ha voluto riprodurre alcune figure che stanno guardando ciò che accade al centro della sala. “l’Evento”.
Finito il nostro aperitivo è arrivata (finalmente) l’ora della cena.
Sono veramente impaziente di provare i piatti di Matteo e questi champagne meravigliosi.
Si inizia subito con Dom Pérignon Vintage 1998 P2, alias Plénitude 2, alias Deuxième Plenitude, un nuovo modo di René Geoffroy di approcciare la vita di Œnothèque.
Rispiego brevemente il concetto a favore di chi non ha ancora letto nulla su questo champagne:
a partire da Luglio 2014 la serie Œnothèque, ossia il Dom Pérignon millesimato lasciato affinare sugli lieviti molto più tempo rispetto al Vintage che vede la luce dopo circa 10 anni (è appunto in commercio la 2004 uscita a Marzo dello scorso anno), ha cambiato nome.
La nuova etichetta, grigio antracite con scritte in oro, riporterà il millesimo del vintage e una fascetta al collo della bottiglia con l’indicazione P2, ossia Plenitude 2, un tempo di affinamento che va dai 15 ai 20 anni.
Sulla base dello stesso concetto uscirà anche Dom Pérignon P3, Plenitude 3, ossia un vintage che avrà un periodo di affinamento sugli lieviti fra i 30 e i 40 anni.
Si passa poi al Vintage Rosé 2003, all’Œnothèque 1996, e al Vintage Rosé 1998, in un succedersi e alternarsi di pietanze e vini estremamente pacato e perfetto curato dal maître Daniele Sacco.
I piatti del menu sono fatti con materie prime classiche, mediterranee e regionali, ma elaborati in modo innovativo con mano sicura e competente.
Quello di cui io vorrei parlare, anzi scrivere, e che è la materia che mi compete maggiormente, è di due champagne in particolare: P2 1998 e Œnothèque 1996, le mie due frecce di Cupido della serata.
Dom Pérignon Vintage 1998 P2
Olfatto denso e pieno. Non è uno champagne leggero, e si sente.
Una nota mielata e balsamica fa capolino dal bordo del bicchiere per riversarsi attorno al mio naso e far subito capire che non lui non è un “toyboy”. Bisogna prenderlo sul serio.
Continuo ad annusare il bicchiere, mi incanta, mi inebria.
Voglia di sorso, e la soddisfo subito.
Eleganza fruttata, materia spessa, croccante.
Ananas, cedro, miele, pane tostato e a volte speziato.
Una bocca piena, avvolgente, calda, sicura, seppur freschissima.
Ecco, per riprendere, giocando, la similitudine precedente, questo champagne mi dà la sicurezza protettiva di un uomo maturo, che non chiede pazienza e che sa offrire quanto di meglio ha a chi gli sta vicino.
Di gran classe e complessità e di meravigliosa persistenza, questo champagne è il compagno ideale per tutti i piatti ricchi e succulenti.
Dom Pèrignon Œnothèque 1996
E’ la seconda volta che lo degusto. E questa seconda è ancor meglio della prima.
Secondo me questo vino è un capolavoro in bottiglia, una essenza, formato 0,75l, di eleganza, raffinatezza, freschezza, classe, persistenza, equilibrio.
Forse se stessi zitta renderei meglio l’idea, paradossalmente.
Partiamo dal presupposto che il millesimo ’96 sia stato uno di quegli anni in cui viene quasi raggiunta la perfezione: meteo senza troppe variazioni e precipitazioni, temperature giuste e nella media stagionale, settembre perfetto con notti molto fresche e giornate nella media, due elementi sintomatici di annate grandiose in Champagne.
Acidità a livelli pazzeschi, tanto che alcuni produttori dicono che nemmeno la malolattica abbia avuto un effetto calmante in quell’anno.
Ed in effetti la 1996 verrà ricordata come la grande annata del decennio 1990/2000.
Per tornare alla nostra bottiglia devo dire che riesce a stregare con la sua estrema freschezza, testimoniata dagli aromi di frutta gialla, ananas e nectarine, per arrivare alla leggera tostatura e all’ananas candita, alla crema pasticcera, alle spezie dolci.
Ed è la stessa girandola inarrestabile quando lo assaggio.
Forte, profondo, determinato al primo impatto, eppure tanto leggiadro dopo il sorso, e ancora complesso e tanto invitante al secondo assaggio. Per tornare poi giocondo e scherzoso nel terzo.
Ananas, frutta candita, spezie dolci, tostature: è magnifico riuscire ad intercettare tutte queste differenze e complessità.
E’ uno champagne che emana eleganza e classe, senza essere troppo snob.
Insomma, per tornare alle nostre rappresentazioni figurative, un giovane uomo che, con sicurezza e intraprendenza, sta andando incontro alla vita. Senza fretta ma facendo i passi giusti.
L’entusiasmo e l’energia di questo vino coinvolgono tutti i sensi riuscendo ad andare anche oltre, ad emozionare la nostra mente e a far vibrare il nostro cuore.
Ed è quello che da un grande champagne ci si aspetta ogni volta.
E Dom Pérignon non ci delude mai. Mai.
Energia e biodinamica, nello champagne di Franck Pascal
FRANCK PASCAL – BASLIEUX-SOUS-CHATILLON VdM
4h in biodynamique certificata dal 2004
Bottiglie prodotte: 26.000 – 34.000 (dipende dal tempo)
Vitigni:
70% PM
27% PN
3% C
Franck Pascal, dal 1994, tornando da militare, ha fatto una scelta ponderata non volendo più utilizzare per la coltivazione delle vigne di famiglia, i prodotti chimici, allora largamente utilizzati come armi in guerra.
Ha cominciato quindi a preparare le vigne per la conversione alla biodinamica avvenuta nell’anno 2000 e certificata ufficialmente (Écocert e AB) nel 2004.
La sua propensione alla biodinamica è un principio di naturalità che applica anche nella vita quotidiana per sé e per la sua famiglia, assieme alla moglie Isabelle.
Franck sostiene che non impone alla natura quello che deve essere ma ne cerca l’equilibrio energetico con gli elementi che ha a disposizione, senza correzioni invasive.
I nomi delle cuvée e le etichette delle bottiglie sembrano voler rimarcare questo concetto.
Le informazioni su vitigni, dosaggio e data di dégorgement sono tutte riportate nella retro-etichetta.
La sua ricerca è costante e ogni anno sperimenta nuovi confini, magari trovando lieviti sempre più adatti, oppure eliminando rame e zolfo nel trattamento delle vigne.
La sua risposta alla canicola del 2003 è stata la preparazione, attraverso un processo di dinamizzazione, di un’infusione di camomilla con la quale ha dissetato le vigne.
L’inerbimento nelle vigne è spontaneo, tanto che non avviene il diserbamento nemmeno della tourniére, il ritaglio di terra in cima ai filari di viti dove di solito si lascia lo spazio al trattore per girare.
Ci si può credere, oppure essere scettici, abbracciare questa filosofia oppure allontanarsene.
Io osservo, guardo e, soprattutto, lascio che a parlare siano gli champagnes, con le bellissima degustazione che abbiamo fatto.
QUINTESSENCE 2004 Extra Brut
60%PN – 25%PM – 15%C
Questo champagne è stato prodotto durante il cammino del percorso bio e quindi per metà è lavorato con agricoltura convenzionale e per metà con sistema bio.
Un po’ di fatica a farsi sentire, come fosse quasi timido. Poi finalmente si apre con una bella eleganza di frutti di bosco, e una nota di ossidazione appena accennata.
Rotea molto bene in bocca con aromi fruttati e sapidi ma sul finale vi sono dei sentori che non mi convincono appieno.
QUINTESSENCE 2005 Extra Brut
Stessi vitigni del precedente, questa volta tutto in biodinamica.
Franck spiega che è una collaborazione fra uomo e natura con tutte le loro essenze presenti.
Si apre rapidamente e avvolge con freschezza e golosità di frutti rossi. Ampio e libero il sorso che scorre piacevole e spumoso in bocca.
Dosaggio perfetto per un vino che non ha bisogno di aggiungere zucchero a quello già esistente di suo.
Bella persistenza, grande freschezza, beva piacevolissima. Tutta un’altra cosa rispetto al precedente.
Essenziale e preciso.
RELIANCE Brut Nature
75%PM – 12%PN – 13%C
BSA base 2008
Impatto immediato con una bella mineralità e gesso.
Il tiglio compare all’assaggio, insieme a pompelmo bianco, limone e passion fruit.
Una grande persistenza che lascia, bellissimo, un ricordo di anice stellato seducente e misterioso.
Vibrante e sincero, tocca le corde golose della mia curiosità.
HARMONIE 2009 Extra Brut
50%PM – 50%PN BdN
E’ piacevole al naso e in bocca, ancora un po’ troppo giovane, ma di sicuro impatto e di grande energia.
Una grande materia data dalla frutta con una acidità molto spiccata eppur equilibrata dalla bella morbidezza del vino e da una nota amara che avvolge il palato in finale.
Pacifico e suadente, parla sottovoce ed è un piacere ascoltarlo.
PACIFIANCE
Metodo solera iniziato con i millesimi 2006 e 2007
60%PN – 25%PM – 15%C
Frutti bianchi, quasi in confettura e bocca fresca, note minerali e affumicate.
Una grande, bella armonia che regala persistenza a non finire e una punta di anice stellato che sembra essere il “fil rouge” di tutte le cuvée di Franck Pascal.
Un vino che dona tranquillità, voglia di provarlo e riassaggiarlo, di stare in sua compagnia per tanto tempo senza mai stancarsi.
Disteso e rilassante, accarezza le ciglia del mio olfatto e rispetta, in silenzio, i miei tumulti.
SERENITÉ 2010
C e PM
Vino bioenergetico senza solfiti.
La forza potente, comunque domata in questo champagne, si esprime con aromi di pietra focaia, spezie, mentuccia, salvia.
Il senso di tutto quanto sopra: c’è un rispetto fra uomo e natura con un confine molto labile e banale.
Alcuni uomini lo sanno rispettare ed interpretare. Altri lo guardano da lontano.
Scoprite voi da che parte sta Franck Pascal. E per dirlo dovete provare i suoi vini.
Franck Pascal
1 bis, rue Valentine-Régnier • 51700 Baslieux-sous-Châtillon
T. +33(0) 326 51 89 80 • contact@franckpascal.fr
Il riso abbonda…nella cucina dei Costardi
Ad ogni mio compleanno, che cada in qualsiasi giorno della settimana, mi concedo una colazione o una cena in un ristorante che scelgo con molta cura.
Quest’anno avevo diverse soluzioni in mano, grazie al mio pusher ufficiale, l’amico Allan Bay, che è una fonte inesauribile di ricette (con le quali ho sempre fatto un figurone) e di ristoranti.
La scelta di andare da Christian & Manuel Costardi non è stata casuale. Amando il riso in modo particolare, sia quando lo cucino che quando lo gusto cucinato da altri, mi ha attratta il fatto di poter degustare in un solo pasto, due o tre qualità di riso che non fosse scontato o già conosciuto.
Devo dire che l’obiettivo è stato raggiunto.
Dopo avere “prelevato” la mia best friend Patrizia, raggiungiamo Vercelli in poco tempo.
Il Ristorante si trova in un’ala dell’Hotel Cinzia, la mamma di Christian e Manuel, che ne continua la gestione.
Ci accoglie lei, sorridente, e ci guida verso la sala ristorante che si apre su un ambiente molto luminoso e confortevole.
Christian e Manuel sono impegnati nella registrazione di una puntata per un programma televisivo che sarà trasmesso a breve, e ad accoglierci c’è Elisa, la maÎtre storica del ristorante (scopro più tardi) e comunque una bella ragazza mora con un piglio risoluto e il viso più che simpatico.
Ci fa accomodare al nostro tavolo e comincia a raccontarci qualcosa sul ristorante e sui menu proposti con una padronanza di linguaggio che mi sorprende in modo piacevole. Bella, brava e anche molto professional. Diamine, non mi piace parlare delle quote rosa ma in questo caso Elisa è la persona giusta al posto giusto.
Come mio solito mi faccio dare la carta del vino prima di dare una sbirciata all’elenco delle portate e vado diretta sulla pagina degli champagne.
Elenco molto preciso, diviso per produttore in ordine alfabetico, con annata e vitigni. Mi colpisce la mancanza di parecchie etichette blasonate di importanti Maison. Cosa che, mi spiegherà Christian più tardi, è stata fatta per scelta.
In questo momento non ne sento proprio la mancanza, devo dire.
Scelgo quindi una bottiglia che non ho mai provato, di un produttore biodinamico (serio) che conosco: Cuvée Les Chênes di George Laval, vintage 2002.
Non lo descrivo qui, lo farò a momento opportuno.
Sappiate che comunque è uno champagne vibrante, caldo e molto, molto complesso. Una delizia insomma.
Elisa ci spiega che volendo provare due/tre risotti non è proprio il caso di abbondare con il resto perché le porzioni non sono proprio mini e la tendenza a sentirsi comunque soddisfatti arriva prima di quanto si immagini.
Imbastiamo un menu tagliato a misura che prevede un paio di assaggi come entrée e tre risi particolari in successione:
- Baccalà mantecato, crema di patate e cannella
- A Venezia “scampi in saor”
- Costardi’s Tomato Rice
- La primavera di riso Carnaroli
- Carnaroli come fosse un aglio e peperoncino
Nel frattempo ci vengono servite due mini focaccine, appena tolte dal forno, e che io non riesco nemmeno a fare raffreddare, e naturalmente nemmeno a fotografare.
Oggi ho deciso di chiudere nel cassetto la dieta che sto seguendo da ormai un paio di settimane.
Le prime due portate spariscono in un lasso di tempo che va dai 5 ai 10 minuti!
L’equilibrio gustativo trova la sua migliore esplicazione tangibile.
Baccalà e scampi potrei mangiarne ad libitum.
Nota particolare: sopra gli scampi Elisa ci fa gocciolare dell’aceto di timorasso, per dare proprio quella punta di acidità elegante ed aumentare il gioco agro-dolce. E’ strepitoso!
Ma aspetto i piatti forti: i risotti.
Partiamo da un classico dei Costardi’s, il Tomato Rice.
La particolarità, oltre alla perfetta cottura e sapore del riso, è che viene servito in una lattina che ricalca la Campbell’s Soup.
La lattina, oltre a tenere il riso caldo, esalta, e non di poco, il profumo mentolato del basilico in emulsione e messo in superficie a forma di foglia, e quello pungente del pomodoro nel risotto, che contrasta anche in colore.
Cremoso al punto giusto è quasi confortante e ricorda gli esperimenti di mia madre quando, da piccola, le chiedevo di farmi il riso con il pomodoro. Mai riuscita nell’intento.
Sempre dalla sezione Creativi, ci viene servita la Primavera di riso Carnaroli.
La base fatta con riso e crema di asparagi su cui si adagiano olive taggiasche essiccate e capesante crude. E i colori ricalcano proprio una primavera botticelliana.
I profumi sono delicati ma tutti percettibili. Al palato la consistenza e la temperatura calda del riso giocano a rimpiattino con il tessuto della capasanta, più morbido e fresco.
Non si riesca a capire che sia il vincitore. Ma è bello, buono, armonioso, equilibrato.
Concludiamo con il risotto imitatore, quello che vorrebbe essere come aglio, olio e peperoncino.
Un riso Carnaroli bianco, morbido e cremoso perché mantecato con un olio congelato all’aglio e spolverato di peperoncino e curcuma.
Piacevole ma devo dire che, in porzione ridotta (eravamo arrivate al capolinea), l’impatto delle spezie si è sentito molto e il retrogusto amaro ha avuto il sopravvento sulla naturale dolcezza del riso.
La prossima volta porzione intera, è necessario ribilanciare i sapori!
Resta un solo piccolo assoluto spazio nello stomaco per qualcosa di sfizioso e di completamente insolito, creato dai fantasiosi brothers, in questo caso Manuel, per l’ultima edizione de Le Strade della Mozzarella: il cannolo di pasta, in questo caso un pacchero, cotto al dente, fritto due volte, spolverato di zucchero a velo e ripieno di crema di ricotta di bufala con un filo di scorza d’arancia caramellata.
Una perfetta armonia.
E come ciliegina sulla torta, dato che c’è stata una “soffiata” in cucina su questo giorno particolare per me, arrivano le coccole di Christian e Manuel sotto forma di piccoli dolcetti in una piccola scatola con una candelina accesa, che ho spento immediatamente pensando ad un desiderio da realizzare (e che ovviamente non vi rivelerò!).
Si son fatte le 4, direi che sarebbe ora di liberare tavolo e sala, siamo le ultime due goderecce rimaste nel ristorante.
Salutiamo Elisa e Christian, che mi regala anche un menu con auguri, e passiamo da mamma Cinzia per il regolamento di rito!
Decidiamo che verremo qui anche per il compleanno di Patrizia.
E’ bello sentirsi a casa propria e gustare qualcosa che è fatto con tanta passione, serietà, ricerca e intelligenza.
Le diverse consistenze delle materie prime usate, i diversi colori, i sapori a volte contrastanti creano un tutt’uno nella cucina dei Costardi che arricchisce palato e mente in un perfetto gioco di equilibri.
E questo, secondo me, è solo il punto di partenza.
http://www.hotel-cinzia.com/
NOBLESSE OBLIGE
La mia prima volta con la Cuvée Blanche di Bruno Michel è stata lo scorso anno, ad un pranzo al Ristorante Piazza Duomo di Alba con una coppia di carissimi amici siciliani.
Ero loro ospite ma mi faceva piacere offrire un aperitivo con una bottiglia di champagne che non fosse così scontata.
Ho quindi chiamato Vincenzo (Donatiello ndr), per me uno dei migliori e più seri sommelier italiani (una persona che non ama perdersi troppo in chiacchiere e selfie, per essere precisi), chiedendo consiglio a lui.
Mi ha detto subito che fra le tante bollicine francesi presenti ve n’era una che aveva colpito particolarmente anche lui, con un buon rapporto qualità prezzo, ma la cosa più intrigante era che l’assemblaggio era costituito da 50% chardonnay e 50% pinot meunier.
Il produttore? Bruno Michel, un piccolino della Vallée de la Marne che faceva solo 70.000 bottiglie, ma le faceva molto bene.
D’accordo, dico, andata. Ci vediamo fra mezz’ora!
In effetti le aspettative non sono state deluse e credo di aver bevuto uno dei migliori champagne di RM dell’ultimo anno.
Ho pero’ voluto fare la riprova, non ci si può limitare solo alla prima volta.
Se una cosa piace la prima volta potrà essere magnifica perché è la novità, ma la seconda, la terza e financo la quarta dovranno esserlo ancora di più.
Ieri sera mi sono gustata un’altra bottiglia di Cuvée Blanche, a cena, con un amico sommelier, appassionato di champagne (i supporters di questo vino stanno dilagando a macchia d’olio..!).
Risultato: non solo riconfermo quanto mi era parso di capire la prima volta, vado oltre.
Il colore è confortante e preciso: oro chiaro, senza sbavature.
Il “train de bulles” non lo considero più da un pezzo, troppe variabili per poter essere un elemento determinante nel giudizio qualitativo.
Pero’ in questo bicchiere c’è, e anche bello continuo e sottile.
Aspetto almeno 10 secondi prima di annusare, per non bruciare tutte le ciglia olfattive, e poi immergo quasi letteralmente il naso nel bicchiere.
La bonheur…!
La pesca bianca apre una boule di macedonia appena fatta nella quale si alternano anche mela gialla, e piccoli frutti rossi come lamponi e fragoline, il tutto unito da un cucchiaino di miele e spolverato con della cannella.
Il palato sorprende perché smentisce da un lato e conferma dall’altro.
La freschezza del vino risalta in modo particolare con uno spiccato sentore di ananas non maturo e coriandoli di agrumi, ma le eventuali punte di acidità vengono sapientemente calmierate da una trama rotonda e piena nella quale trovano un ruolo importante anche note di boisé e di vaniglia.
Un gioco delle parti sapientemente orchestrato e io mi abbandono al ritmo melodico di questa dolce musica.
Nonostante la complessità evidente la beva risulta molto piacevole, adeguata, “friendly” per usare un termine anglosassone che avvicina molto anche chi guarda con fare sospetto agli champagne atipici.
Ho apprezzato soprattutto l’eleganza e l’armonia scaturite dall’assemblaggio dei due vitigni, cosa che rimarca la bravura di chi, questa armonia, ha saputo costruirla e infonderla in un vino.
Il dosaggio viene mantenuto sugli 8/9 g/l (solo con MCR), che si abbassa notevolmente sulle altre cuvées della sua gamma.
Bruno Michel produce i suoi champagne nel piccolo comune di Pierry, a sud di Épernay.
Lo fa dal 1980 in una meravigliosa casa del 1800 una volta di proprietà di monaci che avevano sempre avuto la passione dello champagne e che, nelle loro dimore, nascondevano tesori di bottiglie nelle cantine sotterranee.
13 ettari divisi fra chardonnay (50%), pinot meunier (45%) e una piccola quota di pinot noir (5%), a loro volta suddivisi in una quarantina di parcelle (piccoli Lieux Dits), con un’età media di 30 anni.
La produzione non è molta, 70.000 bottiglie e il fiore all’occhiello del piccolo vigneron è che dal 1997 ha iniziato la conversione al biologico terminata nel 2004. Ha ottenuto la certificazione Ecocert e sulle bottiglie e cartoni compare il bollino ministeriale Agricolture Biologique. Due ettari sono ora in biodinamica.
Un punto di partenza e uno sprone per Michel a proseguire il suo cammino sulla strada della qualità e del rispetto della natura e dell’uomo.
Per me invece è un invito a continuare a provare i suoi vini, per la terza, quarta e ora financo quinta volta perché lo champagne, quando è fatto così, merita di trovare sempre un posto in cantina.
Per inciso, è uno champagne che si accompagna a tutto, ma proprio tutto. Io l’ho gustato con un carpaccio di manzo, scaglie di grana e olio del Lago di Garda, sale di Cervia e un carissimo amico.
Distributore per l’Italia: NOW Non Ordinary Wines
Un rivoluzionario a Ovada
La Rivoluzione Francese, si sa per certo, è iniziata il 14 Luglio 1789 con la Presa della Bastiglia, simbolo indiscusso dell’Ancien Régime, ad opera del popolo di Parigi.
Questa, in estrema sintesi, la storia francese.
Non tutti però sanno che, ormai da nove anni, anche ad Ovada si festeggia questo giorno in modo atipico e, per certi versi, rivoluzionario.
L’idea è nata dalla mente attenta e fervida di Giuseppe Martelli, patron di una bellissima champagneria, il Quartino diVino, che, mosso dal suo grande amore per lo champagne (tanto quanto il mio, ed è tutto spiegato), ha pensato bene di festeggiare questo giorno tramutando la Bastiglia, simbolo di libertà popolare, in una serie innumerevole di mathusalem di Drappier (sono 6 litri, signori….!), lo champagne a base di Pinot Nero originario di Urville, un piccolo village nel sud profondo della Champagne.
Il Quartino diVino si trova in pieno centro storico ad Ovada, in una di quelle viette strette pavimentate a sanpietrini, che rendono la passeggiata in vasca una prova speciale quando dotati di un tacco superiore ai 3 centimetri.
Ma questo non ha certo fermato Giuseppe nel concepire e mettere in atto la sua brillante serata.
Lungo la via, all’esterno della champagneria, vengono allestiti tavoloni di legno, con panche lungo i due lati, che riescono ad accomodare il “popolo” rivoluzionario man mano che arriva alla spicciolata.
Quest’anno, vista la facilità con cui il cielo ci regala acquazzoni, sono state messe delle tende sospese a protezione degli ospiti.
Ogni tavolo ha la possibilità di ordinare una mathusalem di champagne per far fronte agli attacchi di sete che prendono improvvisamente ogni volta che si partecipa a questa serata.
Cinzia Natali, la compagna di Giuseppe, e chef del Quartino diVino, prepara ogni anno un menù diverso per accompagnare in modo “solido” lo champagne che, a partire dalle 7 della sera, comincia a scorrere a fiumi, e non è una metafora.
Organizzazione affinata nel corso degli anni e arrivata ad un livello che rasenta la perfezione: ogni tavolo è numerato, assegnato ai fortunati che lo hanno prenotato per tempo, e curato dai collaboratori del Quartino, tutti ragazzi giovani, belli e gentili, che per una sera e una notte diventano gli angeli custodi del tempo perso fra un brindisi e l’altro.
Quest’anno la Presa della Bastiglia si è svolta il 12 Luglio, lo scorso sabato.
Non volevo assolutamente perdermela e, con altri amici, abbiamo raggiunto la nostra postazione nel tardo pomeriggio.
E lì abbiamo avuto una sorpresa meravigliosa: la presenza di Michel Drappier, proprietario della Maison di Urville.
Già, tanto ha detto e tanto ha fatto che, insieme alle casse di champagne, Giuseppe è riuscito a fare arrivare anche il grande patron di Drappier, uomo di estremo fascino e charme che è rimasto sbalordito (très étonné, per restare in tema) dall’energia e convivialità che, insieme alle bollicine, si sprigionavano in modo crescente da tutti i festanti arrivati alla meta.
E che dire del vino? quest’anno semplicemente meraviglioso. Tenace senza essere troppo potente e muscoloso, materia piena, convincente e molto piacevole nel sorso. Nonostante le quantità (si parla di vagonate in questi casi) il mal di testa del giorno dopo è stato pari a zero assoluto.
Champagne e musica, risate e canzoni cantate, anche stonate, ma con il cuore, danze sui tavoli, più o meno traballanti, tacchi rovinati, tanto domani si mettono le espadrillas, esercizi ginnici notevoli per versare l’oro liquido da una mathusalem ad un bicchiere.
E tanta, tanta allegria, quella sana.
Questa è la Presa della Bastiglia di Ovada.
La storia di Giuseppe è singolare. Non è nato oste (come ama definirsi), lo è diventato per passione e amore verso il vino, lo champagne in particolare.
Lui e Cinzia hanno voluto creare il loro “locale dei sogni”, il posto che avrebbero desiderato trovare da fruitori mettendosi però dall’altra parte del banco.
Nasce così il Quartino diVino: 4 Marzo 2004, data ricordata più e più volte anche nella canzone di Dalla.
E ci ha creduto, tanto, tantissimo.
Ha selezionato con cura tutta la sua carta dei vini, ha avuto la fortuna di avere una compagna che cucina in modo meraviglioso (oltre a sopportarlo ….!), di avere amici che lo hanno sostenuto e la lungimiranza di seguire la strada della qualità, senza esagerare con i prezzi.
E lavoro, tanto lavoro, tante ore spese dedicandosi al suo posto, che ormai è diventato un punto di incontro per tanti.
Ci troviamo sovente, lui ed io, a queste riunioni “frizzanti” e spesso discutiamo insieme di quello che maggiormente ci è piaciuto o di ciò che non ci ha convinti.
In modo molto pacato, sempre molto rispettoso.
Mi piace Giuseppe, è una persona seria, buona e intelligente.
E sono contenta che il suo Quartino diVino abbia successo. Se lo merita, se lo meritano, lui e Cinzia.
Ormai sono le cinque del mattino. I tavoli sono stati quasi tutti ritirati, i ragazzi sono quasi pronti per andarsene a casa e farsi qualche ora di sonno, le strade sono già state ripulite e le bastiglie sono state liberate: 49 quest’anno.
49 bottiglie per 294 litri di champagne…e già si sta pensando alla prossima data: 11 Luglio 2015.
Io mi porto avanti e prenoto, non si sa mai!
Lo Champagne Drappier è distribuito da Partesa Srl.
IL TERZO STOPOVER DEL NOSTRO VIAGGIO: I CREMANTS
Vini poco conosciuti, ancor meno bevuti. Eppure ve ne sono di alcuni che sono meravigliosi e che hanno un rapporto q/p difficilmente riscontrabile in altri spumanti.
Con questo termine sino al 31 agosto 1994 venivano indicati gli Champagnes elaborati in modo da sviluppare meno anidride carbonica quindi con una spuma più delicata degli champagnes tradizionali. La pressione nelle bottiglie risultava con un’atmosfera inclusa fra 3,5 e 4,5 bar, invece delle 6 degli champagnes tradizionali.
Una volta questo appellativo indicava anche in Italia gli spumanti con tale pressione atmosferica (vedi Satén) ma ad oggi tale nome è riservato solo ad alcuni vini prodotti con metodo classico all’interno della Francia in zone ben delimitate ai quali è stata conferita la classificazione di AOC (Appellation d’Origine Contrôlée).
La Champagne ha dovuto abbandonare questo appellativo, avendo chiesto una protezione per il nome champagne e méthode champenoise.
Per chiamarsi Crémant quindi un vino bianco e/o rosato mosso deve avere le caratteristiche seguenti (Regolamento (CE) n° 607/2009 della Commissione Europea del 14 Luglio 2009):
- Aver fatto la seconda fermentazione in bottiglia (come i metodi classici)
- Aver fatto una sosta sur lattes (affinamento sui lieviti) di almeno 9 mesi
- Essere messo in commercio dopo 12 mesi dal tirage (fase di inizio della seconda fermentazione)
- Essere prodotto in una delle regioni previste nella AOC che sono
Bordeaux
Bourgogne
Die
Jura
Limoux
Loire
Luxembourg
- Vendemmia manuale
- Mosto non superiore a 100l per ogni 150Kg di uve
- Solfiti aggiunti non superiori a 150 mg/l
- Liqueur d’éxpedition non superiore a 50 g/l
Generalmente i Crémants vengono ottenuti da una stessa vendemmia, ossia sono praticamente quasi tutti millesimati (senza aggiunta di vins de réserve).
I vitigni utilizzati sono diversi in funzione dell’area di produzione e sono:
Crémant d’Alsace (Pinot Blanc, Riesling, Chardonnay, Pinot Noir, Pinot Gris)
Crémant de Bourgogne (Chardonnay, Aligoté, Pinot Noir)
Crémant de Loire (Chenin Blanc, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc)
Crémant de Bordeaux (Sémillon, Sauvignon, Ugni Blanc, Cabernet Sauvignon, Merlot)
Crémant de Limoux (Mauzac, Chardonnay, Chenin Blanc, Pinot Noir) – Blanquette de Limoux (almeno 90% Mauzac)
Crémant de Die (Clairette)
Crémant du Jura (Savagnin, Chardonnay, Poulsard, Pinot Noir, Pinot Gris, Trousseau
Crémant de Luxembourg (Pinot Blanc, Riesling, Chardonnay, Pinot Noir, Pinot Gris).
Alsazia al primo posto con 34 milioni di bottiglie (anno) vale a dire il 25% della sua produzione globale di vino.
Al secondo la Borgogna con 18,7 milioni di bottiglie.
A seguire la Loira con 11,5 milioni.
Noi ne abbiamo provati ben 4:
Il Crémant d’Alsace George Klein
50% Pinot bianco, 20% Chardonnay, 10% Riesling e 10% Pinot grigio
Sventagliata di profumi d’agrume e di aria di fiori di primavera. Piacevole e interessante la sensazione al palato.
Tensione e freschezza iniziali rimandano, in un secondo tempo, ad una morbidezza mai scontata e mai seduta.
Dosaggio che non si avverte e Pinot Bianco che dice sapientemente la sua senza rischiare dei essere un assolo, perché la voce corale è sicuramente più complessa. E anche persistente.
Ottimo con la Michelina alle erbe di Formaggi Gigi.
Crémant de Loire Domaine Dutertre – Cuvée St. Gilles
30% Chenin bianco, 30% Chardonnay, 30% Pinot nero, 10% Cabernet.
Un’azienda piccolissima questa (30.000 btg/anno), nel cuore della Loira, la regione dello Chenin, chiamato anche Pineau de Loire.
Un vino beverino, allegro, senza troppe implicazioni.
Chardonnay e Chenin prendono il palcoscenico e si alternano in bocca con profumi di arancia e albicocca non troppo matura.
Il Pinot Nero sancisce questa unione con una bella sferzata di potenza.
Blanquette de Limoux Cuvée Résilience di Alain Cavaillès
90% Mauzac, 5% Chenin e 5% Chardonnay.
La Blanquette de Limoux ha un’origine molto molto antica e si dice (si dice…) che questo vino sia il vero precursore dello Champagne.
In effetti già nel 1531, a qualche kilometro da Limoux, i monaci dell’Abbazia di St Hilaire, si resero conto che il vino bianco che avevano imbottigliato e chiuso con del sughero formava delle bollicine in bottiglia.
Nasceva così la Blanquette de Limoux che si differisce dal Crémant in quanto nella blanquette il vitigno principe è il Mauzac che deve essere presente per almeno il 90% dell’uvaggio. Consentiti un 10% di chardonnay e/o chenin per completare la cuvée.
Qui il profumo è davvero notevole e fresco. Vino da aperitivo per eccellenza, si sposa comunque bene anche con i formaggi non troppo stagionati ma di grandi aromi.
Ecco perché lo abbiamo abbinato ai formaggi di Gigi: i suoi Gigetti al balsamico, le Micheline alla grappa e alle erbe, la Michelina alla grappa, il Delicapra al porto.
Formaggi molto profumati ma dal sapore estremamente delicato e gradevole.
Gigi è un affinatore della Valle Imagna e cura personalmente tutte le sue creature con attenzione e meticolosità. Il risultato lo si ha in tavola.
I formaggi sono stati divorati in un battibaleno !!
Infine ecco un
Crémant du Jura – Désiré Petit
nella versione rosé.
100% pinot noir.
La stranezza del pinot nero coltivato in una regione che non è la sua culla di nascita.
Eppure devo riconoscergli una bell’approccio profumato, una giusta complessità di aromi e una gradevole potenza che non eccede mai.
Fresca e di grande trama la bocca dove acidità e onde di frutta ammaliano le papille in modo sempre elegante.
Direi che anche la persistenza abbia un ruolo importante in questo vino che riesce a soprendermi e che trovo perfetto con gli spaghetti con pomodorini confit e origano siciliano.
E dato che non ci siamo fatti mancare nulla, come corollario alla nostra golosità abbiamo aperto la focaccia alla birra di Claudio Gatti.
E lì i veri gourmand non sono riusciti a trattenersi.
“Soffice, dal sapore delicato e ad alta digeribilità: sono le caratteristiche uniche di questa focaccia. È prodotta con lievito naturale “La Madre”: la pasta viene lasciata riposare per 30 ore. È fatta con ingredienti di alta qualità, selezionati e insaporiti dalla delicata fragranza regalata dalla birra di produzione artigianale.”
Insomma, un’altra serata all’insegna del gusto, del piacere, del buon vino e degli amici.
Chez La Dame du Vin.
I Crémants sono distribuiti da: Lungo la via Francigena.
LA SECONDA TAPPA DELLA NOSTRA BOLLICINA
Per la seconda fermata del nostro viaggio abbiamo goduto di alcune eccellenze italiane del metodo classico.
A farci compagnia quindi:
Il Franciacorta QZero 2009 di Quadra, il Trentodoc Maso Martis con il Brut Riserva 2007 e l’Alta Langa di Cocchi Bianc ‘d Bianc 2008.
Anche la nostra gola è stata ampiamente soddisfatta.
Il culatello di Faust Brozzi è stato oggetto di furto con destrezza da parte di tutti i commensali che, alternandolo allo strolghino, hanno creato una staffetta golosa e meravigliosamente ricca di sapori.
Stagionatura di 24 mesi, affinamento nelle cantine della “bassa parmense”, dove l’umidità e la nebbia contribuiscono a creare questi capolavori del gusto, solo 800 pezzi prodotti all’anno.
Una piccola grande opera d’arte.
Il Franciacorta QZero di Quadra, millesimo 2009.
Non so se sia per il fatto che a questa vendemmia abbia partecipato anche io (un leggero egocentrismo!), per il fatto che quell’anno l’uva sia risultata pulita e molto sana, o per il fatto che Mario Falcetti il suo lavoro lo sappia fare in modo impeccabile, ma la certezza è che abbiamo bevuto un vino straordinario.
Profumi franchi di pane tostato e di lievito, non fastidioso, un tocco di erba salvia e di mentuccia fresca, piccole evoluzioni di agrume insieme a frutta secca.
E una grande, magnifica freschezza che rende snello un Franciacorta dotato di trama estremamente fitta e complessa.
Che bel bere!
Il TrentoDOC Brut Riserva 2007 di Maso Martis, un’espressione classica del Pinot Nero del nord.
Con un po’ di boisé reso meno invadente da un tocco di limone qui e là.
Forse sboccatura un po’ giovane ma diamogli tempo, la struttura c’é, ed è bella, accattivante. Con queste bottiglie ci vuole pazienza, e noi ce l’abbiamo!
L’Alta Langa Bianc ‘d Bianc (già proprio in piemontese!) 2008 di Giulio Cocchi.
Imperdibile nella sua interpretazione dello Chardonnay di Langa trasformato in metodo classico.
Elegante, fine, equilibrato. Una bella dama pronta per un gran ballo sulle note dolci di un valzer viennese, o a far pariglia con quelle altrettanto dolci del culatello, spumeggiando in bocca senza tregua.
E si riparte per il nostro viaggio, in attesa della prossima sosta….